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Capitolo 6
L'Università

a) Prima e dopo l'indipendenza

L'embrione dell'università del Mozambico è sorto nell'agosto del 1963 con la fondazione a Lourenço Marquez degli «Estudos gerais universitarios», dei corsi di livello universitario articolati in una prima parte generale che si svolgeva nelle colonie ed una seconda parte specializzata che si svolgeva in Portogallo. Nel 1968 gli «Estudos gerais» si trasformavano in università e acquisivano la facoltà di conferire diplomi.

La creazione dell'università in Mozambico ha fatto parte della strategia coloniale degli anni Sessanta, rivolta a guadagnare consenso all'interno e all'estero, per arginare l'influenza del Frelimo e migliorare l'immagine del potere coloniale.

Le finalità di questo progetto non venivano nascoste. «L'università — diceva nel 1972 il rettore di Lourenco Marquez — deve essere il principale veicolo della disseminazione oltremare dei valori che definiscono e caratterizzano la cultura lusitana». Doveva essere un elemento di coesione della comunità dei coloni e di identificazione con gli interessi della madrepatria, per evitare che si creasse tra loro una situazione analoga a quella sopravvenuta in Rhodesia nel 1963. L'università di Lourenco Marquez era frequentata quasi esclusivamente da bianchi. Dei 748 studenti iscritti nel 1967 solo 8 erano neri. Questo 1% veniva esibito in manifestazioni pubbliche nel paese o all'estero come prova della politica di integrazione del governo portoghese. Era, in realtà, un'operazione sottile, volta al rafforzamento della politica di discriminazione razziale. L'esodo dei coloni al momento dell'indipendenza ha ridotto, in un solo anno, la popolazione universitaria a circa un terzo dell'anno precedente. Anche i docenti hanno abbandonato in gran numero il paese mettendo a rischio la continuità dell'attività universitaria.

A dispetto delle finalità del governo, nell'università di Lourenco Marquez sono nate le contraddizioni che hanno portato alla sua negazione. Già durante il colonialismo gli studenti avevano effettuato azioni di contestazione. Erano ispirate ad esperienze straniere e stimolate dall'insoddisfazione di molti giovani per il prolungarsi della guerra coloniale, e dalle idee del Frelimo che raccoglievano una crescente simpatia anche tra gli intellettuali. La contestazione giovanile «esaltava la pratica e il legame dell'università con la società».1 Contro di essa è intervenuto l'apparato repressivo e la ha annientata. Questo potenziale nato dentro lo Stato coloniale e contro di esso, in seguito, durante il governo di transizione, dal 20 settembre del 1974 al 25 giugno del 1975, ha generato un movimento democratico che ha chiesto la partecipazione degli studenti alla modifica dei curricoli. È iniziato allora un processo spontaneo di riformulazione dei corsi che è avvenuto non senza difficoltà, per i conflitti tra tendenze diverse, o addirittura opposte, che si registravano in quel momento sia tra gli studenti che tra i docenti. Alcuni gruppi erano legati al Frelimo, altri ai comunisti portoghesi, altri erano «maoisti», altri espressione di partiti fantocci creati dal colonialismo, altri ancora erano apertamente fascisti.

Per coordinare e dirigere la riorganizzazione dei corsi ed adeguare curricoli e contenuti dei programmi alla nuova realtà del paese ed alle sue necessità, il Frelimo nominava rettore Fernando Ganhaõ. Il nuovo rettore era militante del Fronte sin dal 1962 ed era stato insegnante dell'Istituto mozambicano in Tanzania. La scelta di un bianco per questo incarico non lasciava stupito chi conosceva la politica antirazzista del Frelimo che sceglieva i suoi dirigenti non in base al colore della pelle ma al loro impegno per il conseguimento del suo programma. Nel 1976 le direttive del Frelimo per l'università venivano formulate dal presidente della Repubblica in persona. La prima ricorrenza del «1° maggio» del Mozambico indipendente, Machel ha impostato il suo discorso sul ruolo centrale dell'educazione nello sviluppo del paese ed ha indicato i compiti dell'università Eduardo Mondlane ed i fondamenti del suo nuovo cammino formativo. Ha ribadito l'impostazione teorica emersa durante la lotta armata, ed ha fatto derivare dal lavoro l'origine del sapere, della scienza, della produzione culturale e del suo sviluppo. Al lavoro doveva essere ricondotta ogni azione formativa.

«Il lavoro produce una crescita permanente delle conoscenze che si incorporano nell'uomo, così come la progressiva accumulazione del sapere crea la scienza». [È compito dell'università] «stimolare lo studio delle realtà scientifiche già esistenti non in modo astratto, ma in modo creativo, legando sempre la pratica alle necessità concrete del progresso e del benessere materiale del popolo».

«È compito dell'Università fondare le sue radici nella realtà nazionale, procedendo in modo sistematico e organizzato nella ricerca e nella raccolta del nostro patrimonio storico, culturale, artistico, scientifico e tecnico. È necessario conoscere profondamente il nostro paese per sapere come ristrutturare i corsi, come organizzare l'attività scolastica, come orientare la nostra ricerca. Perciò dobbiamo legare l'università alla fabbrica e alla "aldeia comunal". La distanza tra l'università e il popolo la trasforma in strumento di penetrazione imperialista. L'introduzione di tecnologie di punta nella nostra economia sottosviluppata, tecnologie il cui dominio è fuori della portata della capacità delle forze produttive nazionali, può apparentemente sorgere come grande conquista economica. In realtà queste tecnologie possono costituire mezzi per perpetuare la nostra dipendenza dall'estero. Perché l'università possa essere un fattore dinamizzante della ricostruzione nazionale è fondamentale che conosca il livello tecnologico delle nostre forze produttive e la tecnologia utilizzata e creata dal popolo mozambicano. [...] I lavoratori delle fabbriche e dei campi debbono entrare nell'università [...]. L'università a sua volta deve uscire dalle sue porte e andare nelle fabbriche e nei campi mettendo la sua tecnica al servizio dei lavoratori e della ricostruzione nazionale. Insegnerà, parteciperà con i lavoratori alla soluzione di nuovi problemi, apprenderà nuove tecniche scaturite dalla pratica e la dignità del lavoro. Conoscerà il popolo e ci si identificherà [...]». [L'intellettuale, oltre a studiare il patrimonio scientifico universale, avrebbe dovuto] «ispirarsi all'inesauribile esperienza popolare e alla conoscenza empirica ed estrarne ciò che v'è di positivo e creativo per teorizzarlo».2

b) Le «actividades de julho»

Machel insisteva sul fatto che la natura ed il funzionamento dell'università sarebbero dipesi dalle necessità sociali da soddisfare. L'enfasi posta dal Frelimo sulla necessità di radicare l'università nel paese ed intrecciare la teoria e la pratica,3 aveva cocome conseguenza più diretta la realizzazione delle «Actividades de julho», dette anche «Aju's». Nel mese di luglio, ogni anno, dal 1975, insegnanti, alunni e funzionari andavano a lavorare in centri produttivi o servizi in diverse regioni del Mozambico.

Fino al 1979 gli studenti venivano occupati, indipendentemente dalla facoltà di appartenenza o dall'anno di studi in corso, in compiti non specializzati. Nel 1980 hanno effettuato, ad esempio insieme agli studenti delle scuole secondarie, il primo censimento generale del Mozambico, spingendosi fino nelle zone più remote del paese. Quest'impostazione mutava nel 1981. Il rettore allora raccomandava di far svolgere agli studenti di ogni corso un'attività produttiva, collegata alle specifiche caratteristiche del curricolo. Sottolineava che le Aju's. dovevano essere appena uno dei momenti di intreccio della teoria e della pratica dell'università. In un documento elaborato in quel periodo dalla commissione responsabile di organizzare le Aju's si leggeva:

 «Il carattere curricolare attribuito alle Aju's non deve essere interpretato come una loro trasformazione in lezioni pratiche delle diverse materie, perché ogni corso deve prevedere sessioni pratiche indipendentemente dalle Aju's».4

Le «attività di luglio» avrebbero dovuto avere un'utilità sociale e contribuire alla formazione «sociopolitica e professionale» degli studenti ed avrebbero dovuto costituire un elemento della loro valutazione individuale di fine anno.

La regione del Niassa, ed in particolare i distretti di Unango, Mavago e Lichinga, è stata nel 1981 il fulcro delle «attività di luglio». Studenti e docenti di Ingegneria aiutavano nel settore delle costruzioni. Quelli di Medicina realizzavano delle analisi di parassitosi nell'ambito di un programma di medicina preventiva. Anche un gruppo di studenti universitari angolani si era unito alle «brigate» degli studenti mozambicani per dar vita ad uno scambio di esperienze tra le università dei due paesi.

Alcuni docenti e studenti del Dipartimento di Scienze dell'educazione, della Facoltà dell'educazione, raccoglievano dati statistici per la pianificazione della rete scolastica e si familiarizzavano con la situazione educativa della città di Unango. Altri, dei Corsi di formazione degli insegnanti (Cfi, in portoghese Cfp), coordinavano, a Cuamba, un corso di riqualificazione di insegnanti della 5a e 6 a classe. Altre attività si sono svolte in altre regioni. Gli studenti dei Cfi di Matematica e Fisica partecipavano, per esempio, a un'inchiesta sul bilancio delle famiglie di Nampula, Beira e Maputo. Quelli di Chimica e Biologia svolgevano esercitazioni pratiche nell'isola di Inhaca, dove esisteva un centro specializzato. Un piccolo gruppo di studenti del corso di Storia e Geografia partecipava, nella regione di Cabo Delgado, alla raccolta di testimonianze sulla storia della lotta di liberazione nazionale. La maggior parte degli studenti rimaneva tuttavia a lavorare a Maputo. Ciò era dovuto in parte all'alto costo del trasferimento degli studenti nelle diverse regioni, che implicava spese per il trasporto aereo e per la permanenza, in parte anche alla resistenza di docenti e studenti del- l'università ad abbandonare la capitale per andare a vivere in situazioni di disagio nelle regioni rurali. Basti dire che dei circa 80 docenti che nel 1981 lavoravano nella Facoltà dell'educazione non più di 5 si sono spostati da Maputo.

Nella capitale si sono svolte diverse attività. Alcuni studenti della Facoltà dell'educazione, ad esempio, hanno collaborato con la «Direção nacional de alfabetização e educação de adultos», altri hanno fatto uno studio cartografico sulla frontiera del Mozambico. Molti partecipavano alle attività didattiche nelle scuole secondarie della capitale. Altri invece rimanevano a diserbare il terreno della facoltà. L'inutilità di questa attività saltava agli occhi di tutti gli studenti e di molti docenti. La direzione della facoltà tuttavia l'imponeva d'autorità. Dimostrava così la totale incomprensione delle finalità delle Aju's.

Il 1981 doveva essere l'inizio di un programma decennale di collaborazione tra l'università e la regione del Niassa, su cui si concentravano allora numerosi progetti di sviluppo. In seguito all'aggravarsi della situazione economica del paese, l'acuirsi del conflitto con la Renamo e la situazione determinata nel Niassa dalla «Operação produção» facevano infrangere questi progetti di collaborazione. Le Aju's si restringevano alla capitale, in molti casi restavano nell'ambito della stessa università, e assumevano sempre più il carattere di esercitazioni pratiche. Dei propositi iniziali dell'università per le Aju's restava ben poco.

Dall'analisi del periodo oggetto di questo studio (1975-83) emerge l'inesistenza di un'integrazione organica dell'università nel paese. Le Aju's sono state un'attività sporadica e irregolare, ed il loro contributo allo sviluppo di una cultura universitaria mirata al paese è stato veramente modesto.

A differenza di ciò che è avvenuto durante la guerra di liberazione nazionale e nei primi anni di indipendenza, oggi in Mozambico il nuovo ceto sociale artefice delle decisioni del paese si forma prevalentemente all'università. Il tipo di formazione che vi si riceve determina la capacità di affrontare i principali problemi dello sviluppo del paese. Per approfondire la coerenza dei corsi universitari con la realtà del paese, adeguare i curricoli alle specifiche esigenze dello sviluppo ed evitare una trasposizione di modelli culturali dall'estero è necessario che la ricerca ed il legame con la produzione ed i servizi, che permettono al corpo docente ed agli studenti una appropriazione di autentici contenuti nazionali, diventino un momento fondamentale dell'attività universitaria. L'esigenza di sviluppare l'università in sintonia con le caratteristiche peculiari del paese, ha trovato un ostacolo non indifferente nei problemi economici e organizzativi, quali la mancanza di fondi e di attrezzature adeguate per attività nelle zone rurali e la mancanza di un corpo docente mozambicano numericamente consistente e preparato in tal senso. L'origine prevalentemente urbana degli studenti universitari ha accentuato questo fenomeno. Un correttivo di questa situazione potrà forse venire dalla mutata composizione sociale della popolazione universitaria. Dopo l'indipendenza sono stati introdotti dei piani di studio per lavoratori che hanno causato un netto cambiamento nella composizione della popolazione studentesca. Il suo 76% era costituito nel 1980, da «lavoratori-studenti». L'estensione alle diverse facoltà di una misura già esistente nella facoltà di Medicina, che consiste nel rendere obbligatorio un periodo di lavoro nelle zone rurali al termine degli studi universitari, potrebbe migliorare il rapporto costi/benefici degli investimenti formativi. Alla cooperazione internazionale è stato chiesto — e l'Italia già opera in questo senso in diverse facoltà — di finanziare progetti integrati di insegnamento e ricerca applicata in settori prioritari per lo sviluppo, e di attrezzare a tal fine installazioni nelle zone prescelte. Gli stessi docenti stranieri, partecipandovi, miglioreranno il loro lavoro perché lo confronteranno con la realtà del paese.

c) La facoltà dell'Educazione: I Corsi di formazione degli insegnanti (Cfi)

Nel 1979 le più alte istanze della vita politica del Mozambico, il Comitato centrale e l'Assemblea popolare, definivano la formazione degli insegnanti un settore strategico per i piani di sviluppo del paese. Ciò scaturiva dall'analisi della situazione educativa, da cui emergeva l'insufficienza del sistema di formazione degli insegnanti dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo. Lo scarso numero di insegnanti a disposizione determinava l'impossibilità di rispondere all'esplosione scolastica verificatasi dopo l'indipendenza (figura 7).

Nei cinque anni successivi all'indipendenza la popolazione delle scuole primarie era cresciuta più del 200%. Il numero degli insegnanti nello stesso periodo era cresciuto molto meno. Nelle secondarie la situazione era ancora più critica, dato che proprio a questo livello era avvenuto l'esodo maggiore di insegnanti portoghesi. L'80% degli insegnanti secondari e il 70% di quelli elementari non avevano nessun tipo dì preparazione per svolgere la loro professione. Possedevano, in generale, appena uno o due anni di scolarità in più rispetto ai loro alunni. L'esodo degli insegnanti portoghesi, l'inesperienza e la mancanza di preparazione dei nuovi insegnanti, l'alto numero di ore di docenza per insegnante (anche 40 ore settimanali) e l'elevato numero di alunni per classe (nel 1979 in media 1/88) hanno contribuito a determinare una flessione del rendimento scolastico e una crescita della percentuale di abbandoni e ripetenze.

La qualità dell'insegnamento d'altra parte non era tale da permettere ai giovani che terminavano gli studi di rispondere adeguatamente alle esigenze dello sviluppo quando venivano inseriti nel mondo del lavoro. Né tantomeno di frequentare con successo i corsi professionali per quadri medi e superiori creati in funzione delle necessità dei piani di sviluppo. La scuola non forniva inoltre una formazione sufficiente per seguire con successo i corsi universitari. Quest'insieme di fattori determinava l'adozione di misure d'urgenza tendenti ad espandere e a migliorare la formazione degli insegnanti. Il ministero dell'Educazione incaricava l'università di formare entro il 1985 circa 3.000 insegnanti da destinare, al termine dei corsi, all'insegnamento secondario, dalla 7a alla 11a classe. La preparazione degli insegnanti per la scuola elementare e per il primo ciclo delle scuole secondarie (5 a -6a) rimanevano invece sotto la diretta responsabilità del ministero dell'Educazione e cultura (Mec). Nel 1986, con la creazione di un «Istituto pedagogico», il Mec sarebbe passato a gestire tutti i corsi di formazione degli insegnanti, liberando l'università da questo compito. Le facoltà avrebbero ripreso allora la loro specifica attività. Le decisioni prese nel 1979   aveano portato infatti, nel 1980, diverse facoltà a sospendere le iscrizioni e a riversare i loro docenti nei Cfi. Dalla centralizzazione di un'attività, che negli anni precedenti (1976-79) era stata di responsabilità delle diverse facoltà, sorgeva così nel 1980   la facoltà dell'Educazione, con il compito di gestire corsi intensivi di formazione degli insegnanti. Si articolava in quattro «dipartimenti» (matematica/fisica, chimica/biologia,  storia/geografia, portoghese/inglese), ciascuno responsabile della formazione degli insegnanti in due materie e per due livelli del sistema scolastico (7a, 8 a  9 a  e 10a e 11a). Il curricolo era composto per ciascun corso da un «modulo di formazione specifica», costituito dalle materie che caratterizzavano ciascun dipartimento, da un «modulo di formazione psicopedagogica e didattica» e da un «modulo di formazione politica». Su quest'ultimo insegnamento sono sorti molti conflitti tra i docenti e gli studenti, tra i docenti stessi e tra essi e la facoltà di marxismo-leninismo da cui dipendevano. I docenti di questa materia non ammettevano che nell'ambito del marxismo esiste, è possibile, anzi è necessario il dibattito e lo insegnavano come un catechismo, un argomento di fede regolato da dogmi. Questa disciplina, basata sulla trasposizione meccanica di modelli prestabiliti veniva fortemente contestata dagli studenti che disertavano le lezioni. Nell'ottobre dello stesso anno il preside della facoltà di marxismo - leninismo, dava le dimissioni per l'impossibilità di affrontare le difficoltà create dalla resistenza opposta, fondamentalmente dai membri del Frelimo nell'Università e dai cooperanti dei paesi socialisti, al tentativo di ricondurre l'insegnamento del marxismo-leninismo alla specificità dello sviluppo della società mozambicana.

Figura 7. Formazione degli insegnanti secondari: abilitazioni, 1980

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

Fonte: Gabinete de estudos e planificação, Apontamentos de planificação da educação, Maputo 1983.

Le dimissioni del preside di facoltà, la mancanza di chiarezza e di unità riguardo alla linea da adottare in quest'insegnamento e la sua impopolarità tra gli studenti portava il frelimo nel febbraio 1983 a deciderne la sospensione e a estinguere la facoltà di marxismo. Il preside della facoltà che aveva criticato l'insegnamento di un marxismo congelato, veniva in un primo momento designato a frequentare un corso di formazione sui temi del marxismo. Il corso sarebbe stato tenuto dagli stessi docenti dei paesi dell'est che in precedenza, come direttore di facoltà, egli aveva criticato. A seguito del suo rifiuto a partecipare a tale iniziativa che avrebbe assunto il carattere di rieducazione ideologica, il 9 luglio del 1983 la Commissione di controllo del Comitato di circolo del Frelimo nell'Università avviava un processo disciplinare nei suoi confronti. Il 17 luglio veniva prelevato dal ministero degli Interni con un tranello da casa, e, sotto la copertura dell'illegalità permessa dalla Operação Producão, deportato in Niassa a lavorare nei campi di un'azienda agricola statale.

Gli obiettivi dei Corsi di formazione degli insegnanti (Cfi)

Anche se ormai appartengono probabilmente al passato può essere interessante riportare ciò che il ministero dell'Educazione nel 1981 aveva definito, come obiettivi dei Cfi.

« — Assicurare una formazione politica, scientifica e tecnica agli insegnanti, educarli all'ideologia scientifica del proletariato e renderli capaci di formare le nuove generazioni ed il popolo lavoratore, creando le condizioni per la valorizzazione e lo sviluppo delle conquiste della rivoluzione mozambicana in campo culturale, sociale e economico.

— Forgiare una profonda, coscienza patriottica e rivoluzionaria, basata sui princìpi del marxismo-leninismo, attraverso la sintesi dell'esperienza di lotta del popolo mozambicano e del patrimonio di ideali, comune all'umanità

— Creare nell'insegnante una visione scientifica e materialistica dello sviluppo della natura, della società e del pensiero, e prepararlo ad agire in modo dinamico ed esemplare nella trasformazione delle condizioni materiali e culturali della scuola, della comunità e della società.

— Sviluppare nell'insegnante una ferma convinzione dei valori della rivoluzione socialista, basata sul rispetto e sulla dedizione agli interessi delle masse lavoratrici, sul lavoro e sulla proprietà sociale.

— Garantire all'insegnante una formazione, psicopedagogica e metodologica basata sui princìpi della pedagogia socialista, adattata alle esigenze del processo rivoluzionario del Mozambico. Tale formazione si prefigge:

a.  il miglioramento permanente della qualità dell'insegnamento;

b.  la preparazione dell'insegnante a rispondere adeguatamente alle situazioni che si presenteranno nell'attività docente e ad impostare correttamente il rapporto tra insegnante ed alunno;

c. la liberazione dell'iniziativa creatrice, attraverso lo sviluppo e la valorizzazione della coscienza critica, dell'immaginazione, della creatività, dello spirito di ricerca e di innovazione».

Veniva definito inoltre che la formazione degli insegnanti si doveva reggere sui «princìpi della pedagogia socialista» come il «principio del legame stretto tra la teoria e la pratica» ed il «principio della formazione integrale e armoniosa della personalità socialista».5

Contraddizioni tra il curricolo e gli obiettivi dei Cfi

«Obiettivi» e «princìpi» dei Corsi di formazione per insegnanti (Cfi) insistevano sulla necessità di una formazione «integrale» dello studente. Sottolineavano la scelta di un insegnamento che stimolasse la creatività, l'iniziativa, l'innovazione, lo spirito di ricerca e la coscienza critica. Ciò avrebbe richiesto un insegna- mento integrato che garantisse l'interazione delle diverse discipline e una stretta collaborazione tra docenti, e non una semplice successione temporale di diversi momenti formativi. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali, nella facoltà dell'Educazione si era andato affermando un modello curricolare che poneva un'enfasi maggiore sull'apprendimento di una quantità prestabilita di conoscenze considerate valide in assoluto e trascurava di sviluppare le capacità menzionate negli obiettivi. La rigida separazione tra materie contrastava la formazione «integrale e armoniosa» indicata dai princìpi. Il modello multidisciplinare classico si riproponeva inalterato. Contrariamente a ciò che potevano far prevedere gli obiettivi, un curricolo frammentato determinava una formazione frammentaria e poco efficace. Ciò determinava in alcuni casi sovrapposizione o anche contraddizione tra obiettivi e contenuti di diverse discipline e diminuiva l'efficacia dell'insegnamento. Vi si aggiungeva la frammentazione degli orari, l'inadeguatezza dei metodi e dei mezzi di insegnamento e Pincoerenza dei sistemi di valutazione. Il risultato era la frammentazione dell'apprendimento. Attuato a compartimenti stagno, non metteva in grado i futuri insegnanti di affrontare la complessità della realtà educativa. Nel loro futuro lavoro gli alunni non avrebbero potuto fare ciò che i loro docenti non avevano fatto con loro.

  Un modello interdisciplinare sarebbe stato indubbiamente più efficace per conseguire gli obiettivi formulati, basati sull'integrazione delle conoscenze e sul loro intreccio con la pratica, esso avrebbe risposto all'esigenza di preparare degli insegnanti ad intervenire nella loro attività professionale affrontando creativamente le complesse situazioni di lavoro non codificabili in modelli fissi, per i quali non esistono ricette prestabilite. Tuttavia la realizzazione di un modello interdisciplinare richiede la disponibilità di docenti a tempo pieno, fortemente motivati, con una solida preparazione e una buona esperienza professionale. Richiede anche di produrre nuovi mezzi didattici integrati e di disporre di un'ampia varietà di risorse. Non può prescindere inoltre da metodi democratici di direzione che permettano all'innovazione di esprimersi e consolidarsi e di cercare un cammino adeguato alla realtà del paese. Deve rinunciare quindi all'imposizione autoritaria di modelli d'importazione. La contradittorietà tra il modello monodisciplinare e gli obiettivi dei Cfi risulta più evidente dall'analisi del modulo di formazione professionale. Gli insegnamenti della «psicopedagogia» e della «didattica» si svolgevano senza interagire. Separati negli insegnanti, nello spazio e nel tempo, a volte si sovrapponevano o addirittura si contraddicevano nei loro contenuti, nei metodi, nei mezzi e nelle forme di valutazione. Alla formazione psicopedagogica era attribuito un carattere prevalentemente teorico. Alla formazione didattica un carattere eminentemente pratico, relativo all'insegnamento specifico di una determinata materia. Tra teoria e pratica il nesso era assai labile e non sistematico. Dipendeva in gran parte dall'iniziativa dei singoli docenti.

Negli anni 1977-82 si è svolta attività didattica contribuendo in prima persona, in qualità di direttrice del Dipartimento, alla programmazione dell'insegnamento della Psicopedagogia. Questo insegnamento faceva parte del primo anno di ciascuno dei due cicli di formazione dei Cfi. Era composto da cinque unità che affrontavano una problematica che aveva come sottofondo comune il tema del rendimento scolastico. I contenuti erano il risultato dell'esperienza svolta dal gruppo di insegnanti di psicopedagogia dal 1977 al 1979. Inizialmente sotto il titolo di «psicopedagogia» s'insegnavano, da un lato, elementi di psicologia generale e psicologia dello sviluppo, dall'altro elementi di pianificazione dell'insegnamento e elementi di storia del- l'educazione. Ci si aspettava che gli studenti, nella loro pratica professionale, facessero da soli una sintesi di questi diversi contenuti ed estrapolassero quelli utili per il loro lavoro. Il contatto con gli alunni che nel frattempo erano andati a insegnare e con quelli che ritornavano all'università per continuare gli studi dopo un intervallo di due anni nelle scuole, ci aveva mostrato che ciò non avveniva. Le critiche degli studenti evidenziavano che essi «non vedevano l'utilità, per il loro lavoro, di quello che studiavano» e ciò riguardava in particolare la psicologia generale e dello sviluppo. La realtà delle scuole era molto distante da quella di Maputo e dell'università. Un ex alunno mi scriveva da Gecua:

«[...] Sono l'unico insegnante di storia in questo centro e devo coprire tutte le classi esistenti, 14 in tutto, di cui 11 della 5a e 3 della 6a. Ogni classe ha come minimo 70-80 studenti. In una 6a ci sono 115 studenti. Come lavorare in queste condizioni? Le aule sono piccole e i ragazzi stanno seduti per terra. Nella stessa classe vi sono studenti dai 10ai21 anni [...]» (Abel Fernandes de Assis, 24 febbraio 1979).

 Dalla scuola secondaria di Namuno, nella regione di Cabo Delgado, un altro ex alunno mi scriveva:

«[...] Abbiamo molti alunni. Assistono alle lezioni ma non possono prendere appunti perché manca il materiale didattico: penne, quaderni, libri. Disponiamo solo del manuale dell'insegnante e di carte geografiche. Insegno in 11 classi di 5a e 6a, che sono frequentate, in media, da 40 studenti. Le questioni tradizionali (matrimoni prematuri, riti di iniziazione, pregiudizi e tabù) sono molto diffuse [...]. È stato utile averne discusso nella psicopedagogia. [...] Ho molto più lavoro di quel che potessi immaginare [...]» (Augusto Mahoka, 1° giugno 1979).

Emergeva dalla pratica la necessità di far scaturire dal profilo professionale la pianificazione dell'insegnamento della psicopedagogia e di ribaltare quindi la prospettiva adottata sino ad allora. Si capiva che non si trattava di dar ricette pedagogiche ma di sviluppare negli insegnanti il senso dell'iniziativa e dell'autonomia, la capacità di imparare e di perfezionarsi costantemente e di rispondere adeguatamente alle diverse e complesse situazioni educative in cui si sarebbero trovati.

Fino al 1979 si erano insegnati determinati contenuti psicologici o pedagogici considerati validi a priori, per poi individuarne le applicazioni pedagogiche. Nei due anni successivi si è cercato di analizzare la specificità del processo di apprendimento-insegnamento in Mozambico e quindi di studiare e utilizzare i contributi delle scienze dell'educazione per intervenirvi con efficacia. La psicopedagogia veniva intesa non più come la giustapposizione di conoscenze psicologiche e pedagogiche, ma come la scienza interdisciplinare che ha come obiettivo l'analisi, la progettazione, la realizzazione ottimale e la valutazione del processo di apprendimentonsegnamento. In questo senso rispondeva meglio anche alla necessità di quella formazione integrale auspicata dai documenti ufficiali. Il piano di studio veniva centrato sul profilo professionale. Questa esperienza di pianificazione curricolare, che si perfezionava insieme all'esperienza e alle capacità del gruppo di insegnanti di psicopedagogia, veniva interrotta d'autorità dal direttore di facoltà. Esso imponeva nel 1983 un nuovo curricolo, elaborato fuori della facoltà e indipendentemente dalla nostra esperienza, il cui asse erano dei contenuti considerati validi in assoluto e rigidamente separati tra loro, mediati dall'esperienza della Repubblica demoćratica tedesca.6

Dal 1977 al 1979 in diverse facoltà si era realizzato un interessante intreccio tra psicopedagogia e didattica sia nei momenti di formazione teorica, sia nello «stage». Dal 1980 l'insegnamento della didattica veniva spostato, anche contro il parere dei docenti, al secondo anno dei corsi ed affrontava la didattica specifica di ogni materia di insegnamento attraverso esercitazioni di tipo diverso e la realizzazione dello «stage», senza più nesso con la psicopedagogia. Questa decisione era il risultato del prevalere nell'ambito dei Cfi di una concezione amministrativa dell'educazione che portava a privilegiare gli aspetti quantitativi della formazione degli insegnanti a scapito della qualità. Queste stesse ragioni hanno contribuito a far sostituire in diversi corsi lo «stage» nelle scuole con simulazioni della situazione di insegna- mento-apprendimento delle scuole secondarie all'interno delle mura universitarie. Gli studenti venivano privati di un'esperienza in cui psicopedagogia e didattica interagivano e si confrontavano con la pratica educativa. Rimanevano esposti ad una formazione prevalentemente verbale che escludeva, tra l'altro, una partecipazione sociale e affettiva al processo di apprendimento. Non ci si poteva aspettare che fossero in grado di «unire la teoria con la pratica», di sviluppare metodi creativi e collaborativi di lavoro, di integrare la scuola nella comunità, che realizzassero, in altre parole, degli obiettivi per i quali non erano state predisposte adeguate procedure formative. Tra i propositi, enunciati con tanta forza, e le realizzazioni, continuava ad esistere una notevole distanza.

L'azione dell'orientamento scolastico e della formazione psicopedagogica sull'atteggiamento degli studenti dei Cfi

Rassegnazione al proprio destino professionale e passività rispetto all'apprendimento delle conoscenze e delle abilità psicopedagogiche e didattiche caratterizzavano l'atteggiamento iniziale di gran parte degli studenti dei Cfi. Questo comportamento rappresentava una resistenza ad un sistema di orientamento scolastico e professionale in cui la «libertà di scelta» dell'individuo era subordinata alle «necessità del paese». Di fatto l'organizzazione dell'orientamento scolastico e professionale adottata in Mozambico era nata dal tentativo di articolare educazione e strategie di sviluppo del paese.

Il modo per farlo ha generato molte insoddisfazioni e si è attirato molte critiche. Si è rivelato in molti casi inadeguato, dato che numerosi insegnanti, appena hanno potuto, hanno abbandonato questa professione per altre. L'investimento dello Stato nella loro formazione è andato così completamente perso. Le origini del problema tuttavia sono piuttosto remote. In Mozambico si verifica ancor oggi, in conseguenza della politica educativa coloniale, una grande penuria di studenti che terminino le scuole secondarie. È insufficiente quindi il numero di candidati da distribuire nei diversi rami del mondo produttivo o nella formazione media e universitaria. Il numero dei candidati per gli studi superiori è ancora talmente esiguo che, potenzialmente, ad ogni candidato si aprono immense possibilità. A differenza di ciò che accade in molti altri paesi dove le candidature sono troppo numerose, in Mozambico non si rende ancora necessario invece alcun tipo di selezione di merito per l'accesso all'università. Ciò si spiega per il fatto che mentre l'espansione dell'insegnamento primario, dipesa essenzialmente da una decisione di carattere politico, è stata molto rapida, lo sviluppo dell'insegnamento secondario è un obiettivo di lungo termine. Ha infatti come sua precondizione la generalizzazione dell'insegnamento primario. Si è verificato così che ogni anno, dopo l'indipendenza, il numero degli studenti che hanno terminato le scuole secondarie si sia aggirato intorno al migliaio. Di conseguenza è stato impossibile coprire i posti disponibili nei diversi rami dell'insegnamento superiore.

Il ministero dell'Educazione e il ministero della Pianificazione decidevano ogni anno dell'orientamento scolastico e professionale degli studenti che terminavano le secondarie. Agli studenti veniva chiesto di esprimere tre preferenze. La decisione veniva presa in seguito centralmente, in base a diversi parametri come il rendimento scolastico, l'età, l'origine. Questa prassi veniva adottata per non lasciare in balia dell'iniziativa individuale o della concorrenza tra i diversi rami del mondo del lavoro e del sistema educativo la formazione dei tecnici da cui dipende in gran parte il funzionamento dei piani di sviluppo del paese. L'orientamento consisteva essenzialmente nel «distribuire la penuria di candidati» tenendo conto dei settori prioritari per lo sviluppo.7

La formazione degli insegnanti era la prima priorità. Nonostante ciò, la scala di valori in base alla quale i giovani mo- zambicani costruivano una gerarchia tra le professioni non era ancora cambiata e l'insegnamento continuava ad occuparvi l'ultimo gradino. I giovani accedevano quindi ai Cfi contro voglia e solo perché «lo Stato» ve li destinava. Si determinava così una situazione analoga a quella che possiamo constatare in Europa. In Mozambico le ragioni erano diametralmente opposte ma anche qui i giovani si trovavano a insegnare solo perché non avevano la possibilità di esercitare un'altra professione.8 Gli studenti dei Cfi consideravano l'insegnamento una professione di ripiego a cui è necessario rassegnarsi dato che non erano loro aperti altri sbocchi professionali con uno «status» socioeconomico più elevato. Il presidente Machel in persona affrontava il tema del sistema di orientamento scolastico e professionale entrato in uso con l'indipendenza in un discorso agli studenti tenuto nel 1977, per arginare le polemiche e le resistenze suscitate:

«I nostri nemici diranno che in Mozambico non si rispetta la "vocazione" delle persone [...]. Bisogna riflettere sul significato di "vocazione". Questo termine sintetizza un insieme di idee che sin dalla culla ci sono inculcate dai genitori e familiari che, per ragioni diverse, ci spingono verso un'attività che essi considerano la migliore per noi [...] nella convinzione che essere avvocato o ingegnere significhi molto denaro e prestigio sociale. Perché queste "vocazioni" incidono sempre su posizioni di prestigio sociale? Perché non si riscontrano vocazioni per essere muratori, carrozzieri, autisti o falegnami? La nostra politica vuole conciliare gli interessi della collettività con le capacità di ognuno. Ma non permetteremo che gli interessi individuali si sovrappongano agli interessi delle masse lavoratrici né che si dimentichi che la vera libertà si basa sulla coscienza delle necessità sociali. Perciò la "vocazione" di ognuno dovrà essere subordinata alle necessità obiettive del popolo».9

Si nota in queste argomentazioni una considerevole affinità con il modo in cui nel passato i principali teorici della filosofia della prassi hanno affrontato il tema della «libertà di scelta». Marx ha scritto ad esempio che nelle formazioni sociali esistite fino ad allora,

«La libertà personale non era esistita che per gli individui il cui sviluppo era avvenuto nelle condizioni della classe dominante e che pertanto appartenevano a questa classe».10

E Gramsci:

«Al concetto di libertà si dovrebbe accompagnare quello di responsabilità che genera disciplina [...]. Responsabilità contro arbitrio individuale: è sola libertà quella "responsabile" cioè "universale" in quanto si pone come aspetto individuale di una "libertà" collettiva o di gruppo».11

D'altra parte i concetti espressi da Samora Machel nel discorso rivolto agli studenti si ritrovano nell'ideologia del Frelimo anche prima dell'esplicita adesione al marxismo-leninismo avvenuta contemporaneamente alla trasformazione del «fronte di liberazione» in «partito» nel 1977. Nel 1974 per esempio, durante la lotta di liberazione nazionale contro la dominazione coloniale, il problema della «scelta» era posto in questo modo:

«Le circostanze in cui viviamo, guerra, analfabetismo di massa, esigono che le nostre concezioni ed i nostri metodi soddisfino allo stesso tempo i nostri obiettivi futuri e i nostri obiettivi più immediati, perché se questi ultimi non si realizzeranno, non ci sarà futuro. Ciò significa che bisogna dare priorità all'educazione permanente e progressiva piuttosto che all'educazione continua. Per noi tutti i militanti devono, in ogni momento, poter elevare il loro livello tecnico, culturale e politico. Inoltre, dal momento in cui saranno stabilite delle priorità, alcuni saranno selezionati per dei corsi speciali rapidi, perché possano comunicare le loro nuove conoscenze a dei settori più ampi della popolazione. Questo è il metodo che abbiamo applicato con esito nella nostra guerra già da molti anni: quando un combattente ha acquisito un minimo di addestramento, parte per il fronte e là perfeziona le sue conoscenze pratiche e le trasmette ad altri. Sui campi di battaglia alcuni sono selezionati per seguire un addestramento più avanzato e, al loro ritorno, contribuiscono a elevare il livello generale. Non aspettiamo di aver formato dei generali per iniziare la battaglia [...]. E ciò per evitare di creare la situazione di certi paesi indipendenti che, da un lato, hanno qualche centinaio di diplomati, e dall'altro delle grandi masse di illetterati e non hanno invece i quadri intermedi necessari per assicurare l'impiego corretto dei quadri superiori. È come una casa che ha un tetto ma non delle fondamenta».12

Sarebbe interessante e utile approfondire lo studio della problematica relativa all'orientamento scolastico e professionale in Mozambico ed analizzare, oltre alle ragioni del sistema attuale di orientamento e all'ideologia che lo sottende, anche il modo in cui esso incide sul comportamento e le motivazioni dei giovani nei confronti dello studio e del lavoro.

In mancanza di dati sistematici sul tema, l'esperienza nell'ambito dei Cfi porta a ipotizzare che, se si è potuto avvertire nell'atteggiamento degli studenti nei confronti dell'insegnamento un sia pur minimo mutamento, ciò è stato dovuto a diversi fattori e non solo al discorso politico. Sono essi il cambiamento della composizione sociale della popolazione universitaria, la lenta e progressiva trasformazione del mercato del lavoro e non ultime, le iniziative che il ministero dell'Educazione ha intrapreso per valorizzare lo statuto socio-economico dell'insegnante rispetto alle altre professioni.

I giovani che sono arrivati all'università a partire dall'Ottanta hanno compiuto una parte significativa della loro carriera scolastica nel dopo-indipendenza ed appartengono in percentuale sempre crescente a quegli strati popolari che prima del 1975 riuscivano tutt'al più a frequentare il primo ciclo del sistema scolastico. Nel 1966-67 ad esempio, di 444.983 neri scolarizzati in Mozambico 439.979 frequentavano le elementari. Il resto era distribuito fra i vari livelli delle scuole secondarie, in particolare nelle scuole professionali. Insignificante il numero di quelli che arrivavano all'università.13 Cambiata la composizione sociale degli studenti, cambiano le aspettative e cambia il tipo di condizionamento che le famiglie esercitano sui figli in merito alla scelta di una professione.

Nel mercato del lavoro si sta verificando inoltre — in conseguenza della progressiva formazione di quadri mozambicani e dell'espandersi della cooperazione internazionale — un certo riassestamento tra domanda e offerta di lavoro qualificato. Si riducono così, a poco a poco, le possibilità di occupazione che si erano aperte in tutti i campi dopo l'indipendenza in seguito all'esodo in massa dei portoghesi ed anche le opportunità di rapide carriere. Ciò ridimensiona aspirazioni e aspettative su livelli intermedi di qualifica che sono quelli di cui l'attuale struttura socioeconomica del Mozambico ha maggiormente bisogno. Le misure adottate dal Mec per modificare lo «status» socioeconomico degli insegnanti — riassestamento salariale, istituzione di una festività nazionale in onore dell'«insegnante mozambicano», creazione di un'organizzazione di categoria — hanno anch'esse contribuito a modificare le motivazioni dei giovani nei confronti della professione.

Il cambiamento nel sistema di valori, nella motivazione e nella condotta degli studenti potrà avvenire in profondità solo se, oltre agli «stimoli morali e materiali» introdotti negli ultimi anni, si realizzerà in futuro una modificazione del sistema educativo, tale da rendere l'insegnamento una professione creativa ed attraente. Una delle condizioni fondamentali perché ciò avvenga è che nei Corsi di formazione degli insegnanti ed anche nella scuola si realizzi un intreccio costante dello studio delle scienze dell'educazione con una pratica educativa in continuo rinnovamento.

L'idea che l'insegnamento sia un'attività che non richiede una specifica competenza professionale è ancora molto diffusa. La maggior parte degli studenti dei Cfi considerava che una certa dose di dedizione e di simpatia ed una conoscenza della materia che permettesse di esporla in modo chiaro e vivace fossero più che sufficienti. Gli studenti avevano concluso la loro carriera scolastica nonostante l'impostazione tradizionale dell'insegnamento che ritrovavano in seguito all'università nella maggior parte delle discipline. Non comprendevano quindi la necessità dell'innovazione. Ritenevano superflua la formazione psicopedagogica e didattica e tendevano a privilegiare nei Cfi l'apprendimento delle discipline «non professionalizzanti» — matematica, chimica, fisica, biologia, storia, geografia, portoghese e inglese. Speravano con questo background generale di poter frequentare un giorno un «vero corso universitario» e di trovare un impiego diverso dall'insegnamento caratterizzavano il loro atteggiamento nei confronti dell'apprendimento. Il conformismo, lo studio meccanico, la sottomissione acritica all'insegnamento caratterizzavano il loro atteggiamento nei confronti dell'apprendimento. L'idea che il processo formativo possa essere un'attività creativa per gli insegnanti e per gli alunni, programmata in base a specifiche competenze psicopedagogiche e didattiche, era del tutto assente. Per formare degli insegnanti capaci di trasformare la scuola in conformità delle esigenze dello sviluppo, era necessario vincere la resistenza degli studenti nei confronti della professione e condurli verso una concezione ed una pratica educativa che corrispondessero in qualche modo agli obiettivi dei Cfi. Lo sviluppo non può prescindere da una riforma del sistema educativo, ma questo, a sua volta, implica un nuovo modo di formare gli insegnanti. Un modello formativo che non veda interagire la pratica pedagogica con la teoria, non può che perpetuare il passato.

Al contrario, un modello che integri la teoria con la pratica e crei tra essi una relazione dialettica, un modello basato sulla creatività e sulla partecipazione, mette in grado i formatori di promuovere il legame tra teoria e pratica nella scuola — un legame che si esprime tra l'altro anche nell'intreccio dello studio con il lavoro — e garantisce l'efficacia del sistema educativo rispetto alle esigenze dello sviluppo nei diversi campi della vita del paese.

Una nuova concezione della formazione degli educatori implica che il concetto di «pratica pedagogica» si estenda a un ampio ventaglio di attività che vanno dall'osservazione, la diagnosi e la valutazione di situazioni scolastiche, al micro teaching, alla ricerca sul terreno, alla simulazione, alla ricerca bibliografica, alla drammatizzazione e così via.

Questa concezione ha ispirato l'esperienza di drammatizzazione condotta nell'ambito dei Cfi nel 1981 e oggetto del prossimo paragrafo. Partiva dall'ipotesi che l'efficienza del sistema educativo del Mozambico rispetto alle esigenze dello sviluppo economico, sociale e culturale dipende non solo dalla quantità degli insegnanti che vengono formati ma soprattutto dalla qualità della loro formazione.

Obiettivi, contenuti e metodi dell'esperienza
di drammatizzazione

«Non basta confutare una bella idea; occorre sostituirla con qualcosa di ugualmente bello e forte; altrimenti, non volendo rinunciare al mio sentimento, respingerò nel mio intimo la confutazione, magari con violenza, checché altri ne possa dire».14

Questo brano coglie efficacemente un atteggiamento tipico dell'adolescenza e riassume con chiareza il modo in cui gli alunni si ponevano di fronte alla professione. Solo un progetto dotato di un impatto, più forte dell'esperienza di ciascuno di essi e della tradizione, avrebbe potuto scuotere la solidità delle loro convinzioni e creare un nuovo atteggiamento verso la professione e verso l'apprendimento delle discipline «professionali». Per affrontare quindi l'antagonismo tra la teoria educativa innovativa, insegnata nei Cfi, e la pratica degli studenti egemonizzatada una «concezione bancaria» del rapporto pedagogico15 si è cercato di organizzare un'esperienza di apprendimento teoricopratica che fosse motivante ed intensa e che dimostrasse la sua maggior efficacia rispetto ai metodi tradizionali.

L'unità didattica relativa alla «Storia dell'educazione in Mozambico» si era basata negli anni anteriori su ricerche bibliografiche e sulla redazione di tesine individuali e di gruppo. Gli studenti allora avevano messo in evidenza i limiti di un apprendimento che implicava una partecipazione di carattere esclusivamente «cognitivo». Utilizzavano per formulare la loro critica gli strumenti forniti loro dalla stessa psicopedagogia e sostenevano che l'apprendimento sarebbe stato più consistente se avesse stimolato anche la partecipazione «affettiva» e quella «psicomotoria». In base a queste considerazioni ed allo studio delle esperienze condotte da Barrington Kaye in Inghilterra, dal Movimento di cooperazione educativa, in Italia (Mce), e dallo Mpla nelle scuole angolane delle zone liberate prima dell'indipendenza, si è pensato che la drammatizzazione avrebbe potuto essere un metodo efficace per la realizzazione dell'unità didattica in questione.16

Essa avrebbe permesso, tra l'altro, di rivedere la realtà sotto una luce nuova e di evidenziarne i principali problemi portandoli alle loro estreme conseguenze e da questa attività sarebbero emerse le conoscenze e le abilità previste dal curricolo.

Adottata la distinzione tra obiettivi generali e obiettivi specifici, che emerge dai lavori di Mager e Landsheere, l'obiettivo generale dell'unità veniva formulato in questo modo:

«Conoscere la storia dell'educazione in Mozambico per poter trasformare il presente grazie anche alla analisi critica del passato». «Promuovere la partecipazione cognitiva, affettiva e psicomotoria nell'apprendimento e la socializzazione delle conoscenze e delle abilità acquisite, attraverso l'attività drammatica».

E l'obiettivo specifico:

«Dimostrare il dominio del tema "l'educazione in Mozambico" rappresentandolo in quadri vivi, inerti o dialogati».

«Dimostrare creatività, impegno e iniziativa nell'utilizzazione della drammatizzazione come metodo di insegnamento-apprendimento».

Questa esperienza coinvolgeva tre corsi tra il I e il II livello dei Cfi ed un totale di 95 studenti. In ogni corso si sono formati gruppi di lavoro intorno a quattro temi:

—  l'educazione «tradizionale», intesa qui come l'educazione informale ancor oggi praticata principalmente nelle zone rurali e risultante dall'incrocio della tradizione precolonialei con successive interferenze di differenti egemonie culturali;

—  l'educazione coloniale;

—  l'educazione nelle zone liberate dal Frelimo prima dell'indipendenza;

—  l'educazione della donna mozambicana nelle diverse formazioni sociali.

I gruppi si sono organizzati in base alle preferenze degli alunni. Si è verificato così che quello relativo alla «educazione coloniale» raccogliesse il maggior numero di adesioni, giacché faceva riferimento ad un'esperienza che molti alunni avevano vissuto e che si prestava più facilmente ad un'analisi critica. II «gruppo della donna», contrariamente a ciò che ci si sarebbe aspettato, (e l'aspettativa era probabilmente condizionata dal «separatismo» che ha caratterizzato in Europa molte iniziative del movimento della donna) ha attratto un gran numero di ragazzi. Ogni gruppo era guidato da un «professore volontario»

— un docente appartenente ad altri corsi e altre discipline che partecipava di libera iniziativa alla nostra esperienza — e chi scrive coordinava l'insieme dei gruppi.

Dopo lo studio di alcuni testi che fornivano un quadro globale della problematica dell'unità didattica e di altri specifici per ogni gruppo, dopo alcune conferenze sui quattro temi ed alcuni dibattiti in plenario, gli alunni hanno ricercato e discusso gli aspetti che meglio avrebbero potuto caratterizzare il periodo da rappresentare: concezioni, eventi, danze, musiche, immagini, decreti leggi, racconti popolari, poesie, preghiere, ecc.

Usando un metodo molto prossimo all'autocoscienza il gruppo dell'«educazione tradizionale» ha analizzato l'esperienza personale dei suoi membri ed ha cercato di individuare aspetti comuni e specificità delle varie regioni. Alcuni alunni, che erano stati sottoposti ai riti di iniziazione, hanno infranto un tabù che caratterizza l'educazione tradizionale ed hanno raccontato la loro esperienza. Ne hanno analizzato il significato di transizione dall'infanzia all'età adulta, ma hanno anche indicato che si riafferma con essi la sottomissione dei giovani ai vecchi, della donna all'uomo e si consolidano il dogmatismo e la superstizione. Nella regione di Nampula, ha raccontato per esempio un alunno, il rispetto per i più anziani si esprime tra l'altro nell’obbligo di inginocchiarsi nel rivolgere loro la parola e di guardare di lato e nella proibizione di fare delle domande. Nella stessa zona, ha raccontato un'altra alunna, alle ragazze si insegna che è proibito parlare ai suoceri fino al matrimonio o addirittura fino alla nascita del primo figlio. Nella comunità tradizionale, infatti, la donna assume una dignità sociale solo quando diviene moglie e madre. Diverse testimonianze hanno sottolineato che durante tutta l'infanzia e nei riti di iniziazione, alle bambine si insegna che devono sempre sottomettersi al volere dell'uomo. Qualsiasi manifestazione di insofferenza è socialmente riprovata. I bambini invece sono incoraggiati a sviluppare un atteggiamento di superiorità e persino di disprezzo nei confronti dell'altro sesso. Hanno più tempo per giocare delle bambine e nei loro giochi si esalta la forza, la creatività, il coraggio e l'autonomia. Vanno a caccia di uccellini e di altri animaletti, pescano e aiutano la famiglia, principalmente pascolando il bestiame, caprette o vacche. Le bambine invece devono aiutare in tutte le mansioni domestiche tradizionalmente femminili: portano l'acqua e la legna, pestano il mais nel mortaio, lavorano nei campi e sin da piccole portano sulla schiena i bambini più piccoli e li accudiscono.

Il rispetto per i più vecchi — ha osservato il gruppo — è un valore dell'educazione tradizionale che deve essere preservato, mentre è necessario combattere la sottomissione acritica, la passività e la rassegnazione che tradizionalmente si inculcano nella gioventù. Questi atteggiamenti, secondo il gruppo, determinano queiraccettazione passiva di tutto ciò che viene dall'autorità, il dogmatismo, la resistenza all'innovazione, che si possono constatare ancora nella vita studentesca, lavorativa e politica di numerosi individui e ostacolano lo sviluppo.

I giovani vivono in modo lacerante il conflitto tra cultura veicolata da nuovi apparati ideologici di Stato — scuola, informazione, partito, organizzazione della gioventù, ecc. — e diversi aspetti della cultura tradizionale, veicolata principalmente dalla comunità familiare.17

Uno studente a questo proposito ha raccontato il disagio vissuto una volta che si è ammalato e che, per non entrare in contrasto con la famiglia, ha dovuto sottoporsi alle pratiche magico-religiose che ferivano la sua sensibilità e contrastavano con le sue convinzioni. I parenti interpretavano infatti la sua malattia come il risultato di una feitiçaria (stregoneria), e soste- nevano che essa minacciava tutti loro fino a che lui non si fosse lasciato «curare» dal feitiçeiro.

Nella scuola, osservavano, la tradizionale sottomissione dei giovani agli anziani si traduce in una disciplina esterna e meccanica, motivata dalla paura del castigo e del voto. L'assenza di una tradizione democratica che stimoli interiormente gli studenti a partecipare creativamente al processo di apprendimento e alla trasformazione socioeconomica e politica del paese, prepara inoltre un terreno fertile per l'insorgere di manifestazioni di dispotismo larvato che costituiscono l'essenza della burocrazia. Dal dibattito emergeva che lo spirito di ospitalità, di aiuto reciproco e di cooperazione che si apprende nella comunità tradizionale, perde spesso la sua valenza positiva perché si restringe a coloro che appartengono alla stessa regione, anche quando ciò può nuocere al lavoro.

Nella comunità tradizionale l'integrazione precoce dell'individuo nella comunità e nel lavoro, la responsabilità che ciascuno assume sin da bambino nel processo produttivo, la gradualità del processo formativo, trovano il loro limite nel fatto che, in ultima istanza, sono gli adulti a decidere della vita dei giovani. Ancora oggi, per esempio, in alcune regioni la tradizione vuole che non sia il giovane a scegliere la sua sposa, ma la madre. Tra i giovani scolarizzati e in ambiente urbano la tradizione tende ad affievolirsi, ma spesso accade ancora che la donna non sia libera di scegliere il marito o di rifiutarlo. È l'uomo che la chiede e la ottiene in cambio del pagamento del «lobolo», cioè di oggetti e/o denaro che consegna al padre della sposa.

Il gruppo dell'«educazione coloniale» si divideva in tre sottogruppi organizzati in base ai seguenti temi:

—  il Concordato tra Stato e Chiesa e le conseguenze di ciò nella scuola;

—  il ruolo dell'insegnante, gli obiettivi, i metodi e la valutazione nella scuola coloniale;

—  a teoria della personalità propagandata dal colonialismo e la discriminazione razziale nella scuola.

La sintesi del dibattito di ognuno dei tre sottogruppi era presentata al plenario e quindi valutata. In seguito serviva come traccia per l'elaborazione dei quadri vivi e del relativo commento. Il plenario scartava una poesia scritta dagli alunni, ne approvava un'altra, arricchiva un testo, modificava una scena. Sceglieva inoltre da una serie di diapositive quelle più adatte a fare da «sfondo» ai quadri vivi ed al commento del narratore. Erano immagini — trovate negli archivi degli organi di informazione — delle scuole del tempo coloniale, riproduzioni di pitture o sculture che potessero avere delle affinità col tema in questione, foto di pagine di libri scolastici o di carte geografiche, scritte, paesaggi e così via.

Nel gruppo sull'«educazione nelle zone liberate» l'utilizzazione delle diapositive ha provocato un'opportunità di apprendimento imprevedibile ed anche emozionante. Una diapositiva — trovata nell'archivio di un settimanale — che inizialmente era stata «letta» appena come l'immagine di una «scuola all'ombra di un albero» nelle zone controllate dal Frelimo durante la guerra di liberazione nazionale, ha dato il via a delle descrizioni autobiografiche ricche di dettagli, quando tre alunni vi hanno riconosciuto la loro scuola elementare, il loro insegnante, i loro compagni. Il racconto di un'esperienza di vita unica per le sue caratteristiche umane, pedagogiche e politiche, ha coinvolto affettivamente in modo assai profondo gli altri studenti, che da allora hanno dimostrato una motivazione ed una comprensione più profonda della problematica in questione. Il carattere eccezionale dell'esperienza dei tre alunni e la loro maggiore maturità aveva determinato sino ad allora un atteggiamento riservato e discreto da parte del resto della classe nei loro confronti. L'attività di drammatizzazione permetteva ai tre ragazzi di comunicare il loro vissuto ai compagni, suscitava stima e ammirazione e creava una maggior integrazione tra gli studenti.

/ mezzi, il tempo, lo spazio e la valutazione

I mezzi inizialmente predisposti per la realizzazione di questa unità didattica si arricchivano via via grazie alla creatività degli studenti e dei docenti che partecipavano all'esperienza. Alla bibiografia iniziate si sono aggiunti nuovi libri e nuovi brani. Per completare lo stock iniziale dì diapositive sono stati scattati nuovi fotogrammi. Per risparmiare materiale fotografico, raro e costoso perché importato, gli studenti hanno scritto a caratteri minuscoli su dei ritagli di fogli trasparenti della lavagna luminosa frasi o grafici che venivano poi montati in cornicette ritagliate da cartoncini, rimediando così alla mancanza degli appositi telaietti.

Ci si è serviti essenzialmente di mezzi «poveri», presi dalla realtà quotidiana e usati in modo creativo. Gli alunni hanno cercato i «costumi» nelle loro case e tra gli amici e i colleghi che vivevano nel «Centro 8 de Março», la residenza universitaria. Giacca e cravatta prese in prestito per l'insegnante, tute mimetiche per l'esercito coloniale che effettuava un'incursione terroristica in una scuola del Frelimo, zappe, vanghe, secchi per le donne contadine. Cocci, sassi e conchiglie per il feitiçeiro; una lavagna improvvisata dipingendo di nero una porta; una grande manioca — grande perché il pubblico la vedesse da lontano! — per sostituire, come nelle scuole rurali, il gesso; mitragliatrici di cartone; distici dipinti su un lenzuolo; libri scolastici del tempo coloniale; capulane — cioè dei tessuti rettangolari variopinti, con cui tradizionalmente si vestono le donne avvolgendoli alla vita —, foulard, chitarre, tamburi e tamburelli.

Dato che le ragazze erano poche rispetto alle esigenze del «canovaccio», alcuni ragazzi hanno interpretato parti femminili. Il giorno dello spettacolo, tra l'ilarità generale, sono comparsi vestiti con copulane e foulard variopinti, scelti tra i più belli nel guardaroba delle loro compagne di corso. Sul palco quel giorno accanto alla lavagna è spuntato un alberello portatovi da qualcuno che ha voluto così suggerire che si trattava di una scena di una «scuola all'ombra di un albero» durante la guerra. Chitarre, tamburi, canti e, per simulare un bombardamento, delle martellate — registrate previamente, per evitare sorprese al momento dello spettacolo — in un determinato punto del palco che aveva una risonanza speciale, hanno costituito l'accompagnamento sonoro.

Delle 40 ore che erano state programmate per l'unità, 15 si sono svolte nel normale orario del corso e le altre sono state ore «extra» in cui gli alunni hanno lavorato su base volontaria ma non per questo con minor assiduità. Ogni gruppo, per preparare i 15 minuti di spettacolo che avrebbe avuto a disposizione, ha lavorato decine e decine di ore, dedicandosi con entusiasmo allo studio, al dibattito ed alla regia. Questo impegno dimostrava che gli studenti avevano assunto che l'obiettivo essenziale del lavoro non era lo spettacolo e la sua perfezione tecnica, ma l'esperienza di apprendimento stessa, ed essa si rilevava di per sé motivante perché basata sulla creatività e sulla loro responsabilizzazione.

L'ambiente costituito dallo spazio raccolto dell'aula, già familiare agli alunni, è stato il più appropriato per rendere sin dall'inizio spontanea la partecipazione ed ha permesso agli alunni di esprimersi con maggior sicurezza e disinvoltura. Il palco è servito solo per la prova finale e per lo spettacolo, quando la timidezza era stata vinta dall'esercizio e dall'affiatamento.

In diverse occasioni gli alunni si sono trattenuti molte ore in più del previsto per studiare, discutere, provare, superando di gran lunga le 40 ore programmate. A volte iniziavano alle sei del pomeriggio e continuavano fino a mezzanotte. È accaduto anche il giorno prima di un esame di fisica ed è stato tanto più significativo perché, fino a poco prima, gli alunni non avrebbero esitato a sacrificare la «psicopedagogia» alle altre materie non professionalizzanti.

Nelle diverse facoltà, nella residenza universitaria e nella mensa dei cartelloni variopinti scritti dagli alunni hanno annunciato la presentazione al pubblico del lavoro. Lo spettacolo era previsto una sera alle 20 e l'appuntamento per gli ultimi preparativi era alle 18, ma alle 15 studenti e docenti erano già lì. Alcuni provavano in un angolo la scena, altri preparavano la musica, altri ancora montavano i due proiettori di diapositive, le luci e gli ornamenti della sala. Su ogni sedia il pubblico avrebbe trovato un volantino che illustrava l'obiettivo del nostro lavoro, il modo in cui era stato svolto e i criteri in base ai quali sarebbe stato valutato. In base ad una prima analisi dell'esperienza l'obiettivo generale era stato riformulato nel modo seguente:

«Riunificare in un'esperienza di apprendimento di un tema del programma di psicopedagogia i termini che il sistema educativo coloniale ha separato per riprodurre la divisione tra lavoro manuale e intellettuale, ed ha attribuito a differenti classi, luoghi e momenti di vita. Riunificare quindi in questa esperienza formativa:

la scuola e la vita;

la razionalità e l'espressione corporale;

il pensare e il sentire;

il parlare e il fare;

il linguaggio orale e scritto e le immagini, i suoni e i gesti;

la disciplina e il piacere per il lavoro;

l'apprendimento scolastico e il gioco;

la riproduzione culturale e la creazione culturale;

il consumo e la produzione;

l'individuo e la comunità».

Su di un pannello in un angolo della sala sono state affisse fotografie che documentavano alcuni momenti del lavoro realizzato. Un collega ha filmato in videotape lo spettacolo perché potesse esser proposto come materiale didattico ad altri corsi che affrontavano la stessa unità didattica con metodi differenti.

Due rulli di tamburo ed una serie di diapositive hanno annunciato l'entrata in scena del gruppo «dell'educazione tradizionale». La prima scena rappresentava la sottomissione della madre e dei figli all'arbitrio del padre e la divisione sessuale dei compiti sia nel lavoro che nel gioco. La seconda inscenava un caso di feitiçaria e illustrava come i giovani siano indotti a interpretare un fenomeno naturale come la malattia in base a spiegazioni metafisiche. In seguito il «mapiko», una danza tipica della regione di Cabo Delgado, introduceva il tema dei riti di iniziazione. Si riportano di seguito alcuni brani del canovaccio di una di queste scene.

(Davanti a una capanna, proiettata sullo sfondo, padre e madre conversano).
Padre: «è già tempo che i figli passino l'iniziazione. Tu cerca di contattare Guindico per Matilda e io cercherò Zebugia: è tempo che mio figlio diventi uomo».
Narratore:
«era proprio così. I genitori decidevano di mandarci all'iniziazione senza che noi ne sapessimo nulla. Contattavano gli anziani manifestando il desiderio che educassero i loro figli. Così cominciavano i riti. I giovani venivano isolati dalla società in un luogo distante dal villaggio, nel mato [la boscaglia]. In seguito avveniva la fase più importante, cioè i riti veri e propri che duravano tre mesi. Terminato questo perido eravamo di nuovo accolti nella nostra comunità dove, in una atmosfera di festa, si celebravano i "riti di aggregazione"».
Padre (sulla scena accanto al figlio): «Figliolo, domani andrai a casa di tuozio e dormirai là. Il giorno successivo ti verremo a prendere: tuo cugino è solo e devi fargli compagnia».
Figlio:
«mi preparo».
Narratore (mentre una decina di ragazzi si siede in circolo intorno ad un vecchio): «non ci dicevano la verità. Ci mandavano a casa di qualcuno con vari pretesti e all'alba del giorno successivo ci riunivano in casa del vecchio istruttore da dove partivamo per il mato. A chi si azzardasse a fare delle domande rispondevano con le percosse. Ci picchiavano senza ragione. Durante il percorso succedevano cose strane che non si potevano capire. Ci venivano spiegate con argomenti assurdi. Per esempio quando lampeggiava, tuonava e pioveva abbondantemente ci dicevano che non dovevamo usare vestiti rossi perché il rosso eccitava la pioggia che non si sarebbe più fermata. Dopo la circoncisione ci venivano dati degli insegnamenti relativi alla vita sociale, sessuale e coniugale. In seguito ci venivano insegnate delle "formule" che non avremmo mai dovuto rivelare a chi non fosse passato per i riti, e dopo di ciò si faceva una grande festa perché già eravamo uomini».

Il gruppo dell'«educazione della donna» ha esordito con una scena sui riti di iniziazione femminili, che voleva mettere in evidenza come da quel momento in poi le giovani divenissero mogli e madri e assumessero sulle loro spalle il peso del lavoro domestico e di gran parte del lavoro produttivo nell'agricoltura familiare. Nella scena successiva, sul «lobolo», una giovane inginocchiata e a testa bassa osservava silenziosamente il futuro marito consegnare al padre oggetti e denaro con cui veniva regolato il suo trasferimento da un nucleo familiare all'altro. In seguito il narratore spiegava che nel periodo coloniale

«la maggior parte delle donne era esclusa dal sistema scolastico e l'educazione tradizionale continuava ad essere per loro la principale opportunità educativa. La minoranza assai ridotta che aveva accesso alle scuole per indigeni e alle scuola professionali femminili imparava essenzialmente catechismo ed economia domestica».

Sullo sfondo venivano proiettate le immagini dei licei femminili per ragazze bianche mentre sul palco tre ragazze nere sferruzzavano e maneggiavano pentole e pentolini per rappresentare la discriminazione nell'educazione riservata alle ragazze di razze differenti. Una scena di giovani freak che fumavano, bevevano e ballavano sguaiatamente — che in seguito ha sollevatouna certa polemica tra il pubblico — voleva rappresentare l'assimilazione di valori e comportamenti alienati tra la gioventù mozambicana. Un «quadro vivo» relativo alla partecipazione della donna nell'alfabetizzazione come alunna e come insegnante, nella produzione e nelle attività militari durante la guerra di liberazione nazionale, si concludeva con la «canzone della donna mozambicana» cantata con l'accompagnamento di chitarre e tamburi da tutti gli studenti.

In due scene il gruppo dell'«educazione coloniale» era riuscito a condensare in poche battute una serie di considerazioni sul passato che erano anche un invito a riconsiderare critica- mente atteggiamenti e pratiche didattiche tuttora attuali. Il nozionismo, il castigo corporale e la paura come «motivazione all'apprendimento», l'autoritarismo e l'arbitrio dell'insegnante, il razzismo basato su una teoria della personalità che sosteneva la predeterminazione genetica dell'inferiorità della razza negra, e infine l'inadeguatezza dei contenuti dell'insegnamento erano rappresentati attraverso la simulazione di due lezioni. Tra l'una e l'altra un intermezzo di diapositive commentate analizzava l'alleanza tra Stato e Chiesa e il ruolo della scuola nella diffusione del «consenso» tra i colonizzati.

Il gruppo sull’ «educazione nelle zone liberate» presentava alcuni degli aspetti più significativi di quell'esperienza: la partecipazione degli insegnanti e degli alunni nel lavoro produttivo e nell'addestramento militare, l'aiuto mutuo e la democrazia nella scuola. Il «contare sulle proprie forze» e «l'iniziativa creatrice» erano rappresentati dai mezzi improvvisati con cui si faceva fronte alla mancanza di materiale didattico: la porta nera sostituiva la lavagna, la manioca il gesso, il dito il lapis e la sabbia il quaderno.

La qualità della rappresentazione finale è stata appena uno degli elementi che hanno concorso a determinare la classificazione del lavoro di ogni gruppo e di ogni studente.

Durante i due mesi in cui si è affrontato il tema della «storia dell'educazione in Mozambico», l'analisi fatta in ogni sessione di lavoro della qualità della produzione culturale del gruppo, dell'impegno di ogni studente e del compimento della meta prefissata da ogni collettivo entro i tempi stabiliti, costituiva la «valutazione continua» dell'attività di apprendimento e di insegnamento. A rotazione, al termine di ogni sessione, unostudente in ogni gruppo redigeva una sintesi della valutazione. La raccolta di queste sintesi costituiva il dossier, le cui informazioni avrebbero contribuito alla formulazione della «valutazione finale» dei gruppi e dei loro membri. La valutazione finale di ogni gruppo inglobava un giudizio sullo spettacolo formulato da una commissione formata da uno studente rappresentante ciascun gruppo e dai docenti. Comprendeva inoltre l'informazione relativa allo svolgimento di tutta l'unità. Stabilita la valutazione di ogni gruppo, si discuteva in base a dei parametri prestabiliti — partecipazione, creatività, assiduità, puntualità, organizzazione del lavoro e conoscenza del tema — il voto da attribuire ad ogni membro del gruppo. Era stato deciso di non attribuire un voto unico ai membri dello stesso gruppo dato che il collettivo non esimeva dalla responsabilità individuale i suoi membri.

In seguito alla valutazione dell'attività di ogni gruppo e di ogni individuo si è effettuata una sessione di valutazione della pianificazione dell'unità didattica, in cui si è analizzato in che misura con il metodo adottato si erano raggiunti gli obiettivi prefissi. Si è discussa anche l'efficacia dei mezzi e delle forme di valutazione utilizzate.

Il primo intervento è stato quello di uno studente che ha voluto leggere in classe gli articoli della stampa quotidiana e settimanale relativi all'esperienza.18 Si è aperto poi il dibattito di cui si riportano alcuni stralci.

Germano: «è stata un'iniziativa molto applaudita. Inoltre c'è stata molta partecipazione e molto interesse da parte di tutti noi».
Ibraim: «l'emozione ci porterebbe a concludere che solo questa unità è stata valida. Ci sono state invece anche altre unità con un carattere teoricopratico, solo non ci hanno coinvolto nello stesso modo da un punto di vista affettivo e tanto meno psicomotorio. Abbiamo simulato per esempio la pianificazione di una lezione o un lavoro di gruppo nel laboratorio di fisica. Ma dal punto di vista della motivazione questa unità è stata superiore a tutte le altre perché ci ha responsabilizzato, socializzato ed ha stimolato la nostra creatività».
Massapa
(è un alunno che è vissuto ed ha studiato nelle zone liberate e quindi non ha mai conosciuto direttamente l'organizzazione coloniale): «ho potuto vedere quello che accadeva all'altra estremità del paese: é stato più efficace del sentirlo semplicemente raccontare. Io non potevo immaginare tra l'altro che le lezioni cominciassero cantando l'inno portoghese.

Né che esistesse in classe una "fila per gli asini" per gli alunni con maggiori difficoltà, né che per passare sì dovessero regalare galline, capretti o altri prodotti all'insegnante. Altri studenti avevano sentito parlare dei riti di iniziazione: ora li hanno visti rappresentare. L'impatto è diverso».
Carimo: «per chi, come me, è sempre vissuto in città, ciò che accadeva nelle zone liberate era impensabile: nella presentazione del gruppo che ha affrontato questo tema ho visto l'insegnante nel mato senza un minimo di condizioni, all'ombra di un albero invece che in un'aula, e senza materiale didattico. Ma nonostante ciò a loro l'entusiasmo non mancava. Quando sulla scena è comparso il nemico — mi riferisco all'assalto dei commando portoghesi alla scuola del Frelimo — per me è stato emozionante. Mi hanno fatto vivere un pò di quello che alcuni nostri compagni hanno vissuto e che non avrei mai immaginato».
Abdul:
«le diapositive chiarivano il testo e aumentavano l'attenzione e l'aspettativa».

La resistenza al cambiamento

In Mozambico si dichiara che la finalità ultima della scuola è la «formazione dell'uomo nuovo». Questa idea è il fulcro della teoria marxista e della tradizione educativa socialista che considerano il lavoro — inteso come attività che trasforma la natura e l'uomo al tempo stesso — l'essenza del genere umano. Il lavoro è considerato un'attività fondamentalmente creativa e sociale con cui un'associazione di uomini liberi crea le condizioni per la piena realizzazione della propria natura. Si può quindi osservare che «l'uomo onnilaterale» della tradizione socialista va considerato non solo come consumatore-utilizzatore intelligente e consapevole dì cultura, ma come produttore sociale di cultura. Il termina produttore va inteso manifestamente in contrapposizione a quello di consumatore ed il termine sociale in contrapposizione ad individuale perché da questa contrapposizione scaturisce anche l'opposizione tra una concezione educativa che ha come cardine la creatività e la partecipazione degli studenti nell'apprendimento e nella sua programmazione, e una concezione burocratica dell'educazione che privilegia gli obiettivi quantitativi e trascura invece la trasformazione del rapporto pedagogico.

Per l'urgenza di formare rapidamente un grande numero di quadri, di cui il paese abbisognava per la realizzazione dei programmi di sviluppo, si è manifestata spesso la tendenza a insistere sulla necessità di aumentare il numero degli studenti dei Cfi senza che ci si preoccupasse della qualità della loro formazione. La facoltà dell'Educazione non ha tenuto inoltre in sufficiente considerazione i progetti di sviluppo del paese, centrati sulle zone rurali. È stata trascurata anche la trasformazione del rapporto educativo, necessaria per promuovere convinzioni profonde e capacità che permettano effettivamente agli insegnanti di intervenire nel processo di sviluppo del loro paese. La relazione pedagogica ha continuato così a presentarsi invertita e gli alunni piuttosto che soggetti del processo di apprendimento hanno continuato ad essere considerati l'oggetto dell'intervento dell'insegnante. I docenti, l'orario, il programma, gli esami, divenivano i soggetti e gli alunni il predicato. Il sistema formativo adeguava gli alunni a se stesso piuttosto che organizzarsi in funzione della loro formazione. In questo clima la puntualità, il modo di vestire, la disciplina, divenivano i valori fondamentali, e il formalismo si affermava sulla trasformazione dell'istituzione e del rapporto pedagogico.

Il curricolo rigido, l'enciclopedismo, e l'insegnamento basato sul prendere appunti frustravano la creatività e rischiavano di formare una generazione di burocrati. I rischi di questo tipo di insegnamento sono stati messi in luce dallo stesso Lenin: l'insegnamento tradizionale, ha scritto, «obbliga la gente a assimilare una massa di conoscenze inutili, superflue, senza vita, che farciscono la testa e trasformano i giovani in burocrati forgiati da uno stesso stampo».19

D'altra parte, per quanto interessanti possano essere i contenuti dell'insegnamento, non bastano da soli per formare un uomo creativo, capace di realizzare un lavoro sociale. Obiettivi e metodi d'insegnamento debbono essere improntati anch'essi alla creatività e alla partecipazione.

Nei Cfi per la separazione della formazione teorica dalla pratica e di entrambe dalla realtà del paese, più che formare convinzioni profonde si tendeva a trasmettere ricette e «princìpi» pedagogici. I giovani insegnanti, terminati i corsi, si trovavano preparati, in sostanza, a ripetere acriticamente delle formule. Quando poi si trovavano a confrontarsi con la realtà complessa e contraddittoria della scuola, dove quotidianamente la tendenza alla conservazione contrasta l'innovazione, non erano capaci di farsi promotori del rinnovamento e venivano facilmente egemonizzati dal contesto in cui si trovavano inseriti.

Si è constatato che si va diffondendo tra gli insegnanti una personalità ambivalente, divisa tra un discorso pedagogico innovativo ed una pratica educativa tradizionale. È questo il risultato probabilmente della loro formazione nei Cfi che ha separato teoria e pratica e privilegiato la prima. Questo tipo di formazione rischia di istituzionalizzare la frattura con la realtà del paese e tende a formare dei conformisti apatici e passivi che sono la negazione dell'«uomo nuovo» previsto dagli obiettivi.

Valore e limiti di un'esperienza

Il valore dell'esperienza di drammatizzazione condotta nell'ambito dei Cfi è l'aver creato un'opportunità per trasformare l'atteggiamento degli studenti verso la professione per prepararli a partecipare creativamente ai diversi momenti dell'apprendimento. Gli studenti erano divenuti esigenti con se stessi e con i loro compagni e si stimolavano reciprocamente con critiche severe e franche ma allo stesso tempo serene. La disciplina che inizialmente nasceva dalla competizione per il voto scaturiva in seguito dall'interesse per il lavoro. Gli alunni imparavano a organizzare il processo di apprendimento verificando nella loro pratica formativa la maggior efficacia di un metodo creativo che riunificava teoria e pratica, rispetto ai metodi tradizionali. Constatavano il valore del lavoro di gruppo e la necessità dell'impegno individuale all'interno del collettivo. Il loro entusiasmo nasceva anche dal fatto di essere interamente responsabili dell'attività in cui erano coinvolti. L'apatia infatti deriva frequentemente da un insegnamento che infantilizza lo studente perché lo priva di responsabilità nell'organizzazione dell'apprendimento e lo costringe a sottomettersi ad attività rigidamente prestabilite, in cui il docente divene il principale se non l'unico attore.

A differenza di ciò che avviene in Occidente, dove la «scuola parallela» — radio, televisione, giornali, televisione e mass media in genere — toglie all'insegnante il monopolio del sapere, nella gran parte del Mozambico l'insegnante si pone come esclusivo depositario della scienza, rendendo quasi impossibile la partecipazione e la critica. Con l'esperienza di drammatizzazione l'insegnante perdeva la centralità nel processo formativo e si costruiva una nuova relazione pedagogica. Il docente non «rovesciava» più il «sapere» sugli alunni, ma insieme costruivano un nuovo prodotto culturale. Alunni e docenti discutevano insieme delle immagini proposte, fossero esse diapositive o scene teatrali. Cambiato lo «status» dell'insegnante, cambiava anche il metodo e la varietà dei mezzi utilizzati. L'introduzione del- l'immagine nella didattica introduceva in classe una serie di comportamenti ed espressioni emotive, tradizionalmente escluse dalla scuola basata unicamente sulla comunicazione orale e scritta. Ne derivava un impatto imprevedibile che apriva la strada alla ricerca, al pensiero creativo, alla socializzazione ed al gusto di apprendere.

Stimolando la partecipazione e la responsabilità degli studenti si è cercato di contrastare quella tendenza al conformismo che contribuisce ad alimentare le manifestazioni autoritarie. Si è cercato anche di contrastare quella tendenza, diffusa tra i docenti, di organizzare il lavoro pedagogico in conformità dei propri interessi, delle proprie conoscenze e delle proprie preferenze o di modelli prestabiliti, piuttosto che di obiettivi che beneficino la collettività degli studenti e rispondano alle necessità del paese.

Gli studenti d'altra parte facevano notare che le innovazioni che si praticavano nella psicopedagogia non si applicavano nella maggior parte delle materie, dove predominavano i metodi tradizionali d'insegnamento.

La trasformazione del comportamento degli studenti dei Cfi potrà divenire durevole e consistente e se risulterà non dall'iniziativa volontaristica di pochi docenti nell'ambito di alcune cattedre, ma dalla presenza sistematica in tutto il corso di un legame effettivo tra teoria e pratica.

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