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Capitolo 5
Due nodi cruciali

a) La formazione degli insegnanti elementari

Una delle principali difficoltà per l'integrazione del lavoro nel curriculum scolastico è da attribuirsi all'impreparazione degli insegnanti. Essi si sentono generalmente poco competenti per far svolgere attività produttive agli studenti e ancor più impreparati a sviluppare un nesso tra queste e l'attività didattica, giacché non hanno ricevuto alcuna formazione in tal senso. Evitano quindi di parteciparvi e, con il loro esempio condizionano anche il comportamento degli alunni.

Nei sette anni che hanno seguito l'indipendenza il numero degli insegnanti della scuola primaria è raddoppiato ed è passato da 10.281 nel 1974–75 a 20.584 nel 1982. Non ha tuttavia tenuto testa alla crescita della popolazione studentesca.1 L'aumento quantitativo, inoltre, non è stato accompagnato da un sostanziale miglioramento qualitativo dell'insegnamento. In parte ciò è da attribuirsi all'alto numero di allievi per insegnante (che oscillava tra 85:1 nel 1976 e 65:1 nel 1982), in parte alla mancanza di materiale didattico e all'elevato numero di ore di lavoro per insegnante. La ragione fondamentale va individuata tuttavia nella qualità della formazione degli insegnanti.

Nel 1981 il 64% dei 18.751 maestri elementari non aveva alcuna formazione specifica per la professione. Di essi 10.016 avevano appena quattro anni di scolarità, molti altri avevano la 6a classe. Secondo dati ufficiali, nei corsi di formazione di un anno, creati dopo l'indipendenza, sono passati in sette anni 14.355 insegnanti. Con l’entrata in vigore del Sistema nazionale dell'educazione (Sne), era previsto che sei dei 17 Centri di formazione di insegnanti elementari esistenti (Cfie o Cfpp), mantenessero la durata di un anno e gli altri si estendessero a tre. Molti di coloro che li hanno frequentati, in seguito hanno cambiato lavoro. I corsi prevedevano, accanto alle materie tradizionali, quelle di formazione professionale e le «attività di produzione». Gli obiettivi dei Cfpp erano «formare un corpo docente capace di attuare in modo dinamico e esemplare la trasformazione della scuola e della società nel rispetto delle masse lavoratrici». Nonostante ciò, il curricolo era costituito da un insieme di materie senza nesso tra loro. Le lezioni non avevano alcun riferimento alla vita quotidiana. Tra la teoria, sia generale che professionale, e la pratica, non c'era collegamento. Nei Cfie le lezioni erano condotte con i metodi tradizionali di insegnamento. Centrate sull'attività del docente inibivano partecipazione e creatività nel discente. I contenuti dell'insegnamento non rispondevano agli obiettivi dei corsi ed a uno specifico profilo professionale. Elaborati per fornire un'equivalenza con l'insegnamento generale, ne costituivano un riadattamento. La formazione psicopedagogica e didattica costituiva un settore a sé che non interagiva con le altre aree del curricolo. Distante dalla situazione in cui il futuro insegnante si sarebbe trovato a operare, non forniva gli strumenti per intervenire efficacemente. Di conseguenza, l'insegnamento primario si riduceva ad un'attività esclusivamente teorica, basata sull'oralità e trascurava la scrittura e l'attività degli alunni. Gli insegnanti in genere presentavano delle definizioni che gli alunni memorizzavano ripetendole in coro. Capacità di riflessione, creatività e autonomia intellettuale vengono seriamente compromessi da questa metodologia basata sulla ripetizione acritica, che spesso costituisce la premessa dell'analfabetismo di ritorno.

Durante la loro formazione gli insegnanti non venivano a contatto con il mondo della produzione, né tantomeno erano preparati a lavorare nella produzione scolastica di cui ignoravano sia gli aspetti formativi che quelli economici e tecnici. Tornati nelle scuole, invece di divenire un polo di irradiamento di innovazione per lo sviluppo rurale, erano loro ad ispirarsi alle tecniche rudimentali dei contadini. Volontarismo, impreparazione e improvvisazione caratterizzavano di conseguenza le attività produttive nelle scuole. A questo proposito si riporta un esempio che risale al 1978. Allora il ministero dell'Educazione aveva impartito alle scuole la direttiva di far piantare ad ogni alunno 2 alberi da frutta. I direttori hanno fatto scavare i fossi e mettervi gli alberi. Ma nessuno conosceva la vita delle piante, le necessità stagionali, le tecniche di irrigazione, i trattamenti antiparassitari. Così la maggior parte degli alberi è andata perduta.

Durante il periodo coloniale, negli anni Sessanta, nella formazione degli insegnanti per le scuole per i neri era stato introdotto l'insegnamento delle «pratiche di agricoltura e zootecnia e lavori rurali», ed era oggetto di valutazione e di esame finale come le altre materie. Dalle diverse testimonianze raccolte è emersa una valutazione positiva di quell'insegnamento. Ad esempio il responsabile, nel 1983, della «produzione scolastica» per la provincia del Niassa, ha studiato dal 1968 al 1972 nella «Scuola di formazione di maestri di Marrerere» ed ha raccontato che frequentava bisettimanalmente sessioni di teoria e di pratica condotte da un tecnico agricolo. Alcuni dei temi trattati, di cui ricordava l'utilità nella sua pratica professionale successiva, erano stati la preparazione dei suoli, le semine, i concimi, la rotazione dei terreni. Nella scuola venivano usate tecniche agricole innovative. Ha raccontato un esempio:

«Abbiamo fatto una coltivazione di banane. Abbiamo studiato il suolo e scelto un terreno non arenoso. Abbiamo usato concime animale e innaffiato tutti i giorni finché le piante hanno preso. In seguito bastava annaffiare una volta alla settimana. Poi, quando le piante figlie spuntavano, non era più necessario annaffiare. La popolazione tradizionalmente coltiva i banani solo vicino ai fiumi, vicino ai termitai o in zone dove da tempo vengono gettati rifiuti organici, perché sono terreni umidi. Così i contadini si sorprendevano che la scuola riuscisse a fare una grande coltivazione di banane in altre condizioni tecniche, e volevano imparare. Oggi succede il contrario, e gli insegnanti imparano dai contadini».

Nella stessa regione, nel 1982 si è potuto constatare che il curriculum del Centro di formazione di insegnanti di Unango prevedeva le «attività produttive», che l'unica attività svolta sotto questo titolo era il «capinar» (diserbare) che non può certo essere considerato un lavoro produttivo di utilità sociale, responsabile, creativo e socializzante. Non aveva, inoltre, alcun valore economico. L'assurdità del tempo speso a diserbare veniva sottolineata dalla povertà del vitto degli studenti, ridotto a farina di mais e thè, forniti dal governo. A Unango gli studenti del Centro di formazione degli insegnanti chiedevano una preparazione zootecnica. «Per seminare — sostenevano — dobbiamo conoscere le epoche più adatte, i metodi, la concimazione, l'irrigazione, le malattie delle piante. Altrimenti si perde solo tempo. "Capinar non è produrre"». Se allora, come studenti, erano impreparati a migliorare le proprie condizioni di esistenza, è irrealistico pensare che come insegnanti possano più tardi essere in grado di affrontare lo stesso problema nelle scuole primarie.

Il «Centro de estudos africanos» (Cea), in uno studio sulla formazione degli insegnanti per le scuole primarie2 ha criticato l'introduzione delle «pratiche di agricoltura» nei corsi del periodo coloniale. Lo ha considerato una misura demagogica volta a guadagnare il consenso del contadinato per controbilanciare l'offensiva dei movimenti di liberazione delle colonie portoghesi e l'impatto del processo di decolonizzazione degli anni Sessanta. Tuttavia il Cea, a conclusione della sua ricerca, ha proposto l'introduzione di una materia analoga nella formazione degli insegnanti elementari e secondari. A mio avviso è necessario riconoscere nel passato la contraddittoria interazione di fattori negativi e positivi, superare i primi e sviluppare i secondi. I germi del cambiamento sono presenti nello stesso sistema coloniale che ha creato insieme a se stesso i fattori della sua distruzione. Il dogmatismo consiste anche in questo caso nel rifiutare in blocco una realtà e nel negare la contraddittorietà del reale, impedendone lo sviluppo.

«L'esistenza della contraddizione è un fenomeno naturale e inevitable per il progresso», scriveva Samora Machel prima dell'indipendenza. Dopo l'indipendenza spesso la storia è presentata come una realtà lineare, percorsa da una tendenza evolutiva inarrestabile e il presente come il risultato non del superamento ma della distruzione del passato. Si manifesta anche così la contraddizione tra finalità pedagogiche e politiche di trasformazione democratica e resistenza al cambiamento dei nuovi ceti dirigenti.

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

La prima e la terza delle foto che qui si pubblicano sono state gentilmente concesse dalla rivista «Tempo», le restanti sono dell'autrice.

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

In alto. Una scuola elementare di Lorenco Marquez, per bianchi e «assimilati», durante il periodo coloniale.

A sinistra. Un libro di lettura adottato nelle scuole elementari del Mozambico nel periodo coloniale.

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Una scuola delle zone controllate dal Frelimo durante la guerra di liberazione nazionale.

A destra. Samora Machel,Presidente della Repubblica, Maputo 1981.

In basso. Un momento della IX Assemblea popolare, in cui è stata approvata la legge del Sistema nazionale dell'educazione (Maputo 1982).

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A sinistra. Niassa: alunni di una scuola elementare durante una lezione (1981).

In basso. Centro piloto Januario Pedro (Cabo Delgado): nella riunione delle ore 14 vengono distribuiti gli incarichi per le attività produttive (1982).

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Centro piloto Januario Pedro: gli studenti costruiscono un dormitorio in bambù, terra e paglia.

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In alto. Centro piloto Januario Pedro: gli studenti preparano il campo per la semina.

A destra. Centro piloto Januario Pedro: il pranzo.

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Una scuola elementare nella zona di Moçimboa da Praia (Cabo Delgado), costruita dalla popolazione, in terra, bambù e paglia (1978).

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In alto. Scuola elementare di Maluana (Gaza), costruita dagli studenti e dalle loro famiglie, in paglia e canne (1982).

A destra. Scuola elementare di Maluana: uno studente raccoglie canne per restaurare le costruzioni scolastiche.

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In alto Una scuola elementare in un quartiere periferico di Maputo (1983).

In basso. Scuola elementare «1° maggio», al centro di Maputo (1983).

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Scuola secondaria del Frelimo di Mariri (Cabo Delgado): uno studente intarsia una cassa di legno pregiato.

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Unango (Niassa): uno studente partecipa nelle opere di restauro della scuola secondaria (1983)

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Scuola secondaria del Frelimo di Namahacha (provincia di Maputo): studenti che si occupano della pulizia del pollaio.

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A sinistra. Scuola secondaria del Frelimo di Namahacha: la raccolta del mais.

In basso. Scuola secondaria del Frelimo di Namahacha: un momento di studio.

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Gecua: studenti raccolgono i cavoli per il fabbisogno della scuola.

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A sinistra. Gecua: nella sartoria uno studente impara a utilizzare una macchina per cucire a pedali e a riparare il proprio vestiario.

In basso. Niassa: studenti e insegnanti dell'Università Eduardo Mondlane, durante le attività di vacanza, accolgono il presidente Machel in visita alla regione (1981).

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In alto. Università Eduardo Mondlane: alunni del Cfi di fisica-chimica durante un lavoro di gruppo, in un'ora di psicopedagogia (1980).

In basso. Uem-Cfi, I'esperienza di drammatizzazione: il gruppo dell'educazione coloniale presenta nello spettacolo finale una scena critica delle punizioni corporali.

b) Il cambiamento del Sistema: il Sistema nazionale dell'educazione (Sne)

II governo mozambicano non ha considerato sufficiente l'insieme delle riforme operate nel sistema ereditato dal periodo coloniale. Per rendere l'educazione uno strumento efficace di sviluppo ha ritenuto necessario un cambiamento del sistema. Così nel 1983 è decollato il Sistema nazionale dell'educazione (Sne), introdotto nella la classe. L'innovazione si estende ogni anno di una classe ed è previsto che la riforma venga completata nel 1994. Fino ad allora i due sistemi in parte funzioneranno contemporaneamente.

Il sistema educativo in vigore nei primi anni di indipendenza aveva conservato inalterata la struttura frammentata del periodo coloniale, caratterizzata da una molteplicità di corsi professionali già dopo i primi quattro anni di scolarità. Non esisteva coordinamento tra i vari rami d'insegnamento. Le autorità mozambicane si propongono ora, per promuovere un'ulteriore democratizzazione del sistema, la fusione nello Sne dell'insegnamento primario e secondario preparatorio in un solo ciclo (dalla la alla 7a classe), e l'estensione del primo livello di istruzione da quattro a sette anni. La soppressione delle diverse vie formative nel primo ciclo e la riduzione a tre rami nei livelli successivi, cioè l'insegnamento generale, tecnico e di formazione degli insegnanti, è stata motivata dagli stessi propositi.

La struttura del nuovo sistema può essere sintetizzata nella formula «7 + 3 + 2 + u». Sette anni di scuola primaria saranno seguiti da tre di secondaria e due di media, che daranno accesso all'università. Il sistema precedente, di undici anni, è rappresentato invece dalla formula «4 + 2 + 3 + u» (figura 6).

Il testo di legge dello Sne3 definiva come «obiettivo centrale» «la formazione dell'uomo nuovo, che assume i nuovi valori della società socialista». Stabiliva come «princìpi» che l'educazione fosse un diritto e un dovere di tutti i cittadini, uno strumento per rafforzare il ruolo dirigente della classe operaia e dei contadini, uno dei fattori dello sviluppo economico sociale e culturale del paese. Presentava come suoi «fondamenti» la Costituzione della Repubblica, l'esperienza delle zone liberate, i «princìpi universali del marxismo-leninismo», la «pedagogia socialista» e «l'esperienza di altri popoli nella costruzione di un sistema socialista di educazione». A loro volta, il «legame della teoria con la pratica» e «l'unione dello studio con il lavoro» venivano presentati come gli aspetti che determinavano il carattere «politecnico» del sistema. Queste affermazioni si presentano fino ad oggi più come una dichiarazione di intenti che come un programma concreto. D'altra parte, non sono una peculiarità esclusiva del sistema mozambicano. Si ritrovano infatti nei pro- grammi delle strutture formative anche di paesi ispirati da scelte politiche assai differenti.

Figura 6. Sistema nazionale dell'educazione

Mozambico: educazione e sviluppo rurale

 

Fonte: Ministério da eduçãlo e cultura, Linhas gerais do Sistema nacional de edução, Mec/Inde, Maputo 1982, p. 23.

È presto tuttavia per valutare se con lo Sne siano state superate le contraddizioni che hanno caratterizzato il sistema educativo coloniale o se siano state mantenute sotto nuove spoglie, data la sua recente introduzione. Alcune linee di tendenza peraltro si profilano già, se si analizzano la formazione degli insegnanti, o i curricoli e i libri di testo prodotti per le prime classi del sistema.

La formazione degli insegnanti, analizzata in altri capitoli, ai vari livelli non dimostra ancora di aver fatto proprio l'obiettivo di riunificare teoria e pratica e scuola e lavoro. Non è possibile introdurre un'innovazione se non si preparano contemporaneamente gli insegnanti a gestirla. Delle altre considerazioni sorgono se osserviamo il curriculo delle prime classi. Esso è composto dalle aree formative del portoghese, della matematica, della educazione fisica, dell'educazione estetica, dell'educazione civica e dalle attività lavorative. L'obiettivo del primo ciclo delle scuole primarie (la-5a) è, secondo i documenti ufficiali,

«apprendere ad applicare le tecniche di base al lavoro produttivo e a seguire l'innovazione richiesta dalla socializzazione delle campagne, dalla meccanizzazione dell'agricoltura e dall'estensione della produzione industriale».4

Di fronte a una finalità così ambiziosa c'è da chiedersi quali siano gli strumenti predisposti per raggiungerla. Si analizzi, ad esempio, il caso della 2a classe. In 32 ore di «attività lavorative» gli studenti dovrebbero imparare a «realizzare un lavoro socialmente utile» e ad «aver rispetto per la classe operaia e contadina». Per raggiungere questi obiettivi sono state predisposte attività come lo strappare, tagliare e incollare carta, cartoncino e tessere e modellare oggetti semplici. Nella 3a classe a queste attività, che occupano 7 ore di lezioni, si aggiunge la manipolazione della creta (9 ore di lezioni) e di altri materiali naturali (16 ore di lezione). Il manuale suggerisce all'insegnante di far modellare agli alunni una «aldeia comunal» in miniatura con la creta o di far costruire una scopa, una seggiolina o un lettino di legno e sisal con «materiali naturali». Questo insieme d'azioni vengono considerate «attività lavorative» e nonostante siano svolte in un tempo assai limitato e nello spazio chiuso della scuola, dovrebbero concretizzare i «princìpi della pedagogia socialista» e «motivare gli alunni verso il lavoro e portarli a riconoscere l'importanza del lavoro produttivo nello sviluppo della società mozambicana».5 Le attività descritte appaiono incoerenti rispetto a tali obiettivi. Rimangono un elemento a sé nel curricolo, isolate dalle altre componenti, come la scuola rimane isolata dalla vita e dalla comunità circostante. Non basta chiedere in prestito gli strumenti per tagliare pali e per costruire sedie ai genitori perché venga istituito un «legame scuola-comunità», come sembrerebbero suggerire i programmatori.

L'utilità sociale è assente dalla maggior parte delle azioni previste. La creatività è assai ridotta, la socializzazione ristretta dai limiti della classe, la responsabilità inesistente. Della realtà non resta che una simulazione. È più appropriato parlare quindi, più che di attività lavorative, di «addestramento manuale», un termine il cui contenuto formativo è troppo limitato per pensare che possa costituire un elemento di formazione per lo sviluppo.

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