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Capitolo 7
Educazione e sviluppo

a) Educazione e sviluppo rurale

1) Ruralizzare lo sviluppo per ruralizzare l'educazione

Dopo l'indipendenza si è verificato in Mozambico un fenomeno comune a gran parte dei paesi africani. La scuola libresca, «inessenziale», riservata fino ad allora alle élites europee, è stata estesa ai ceti sociali subalterni. Le diverse misure innovative intraprese non hanno tuttavia impedito che la tradizione retorica della scuola occidentale, con i suoi metodi spesso dogmatici e la contrapposizione in parte ancora viva tra insegnamento urbano e rurale si mantenessero. Nonostante il Frelimo abbia insistito nei suoi programmi sulla necessità di modificare questa situazione intrecciando lo studio con il lavoro, — inteso come strumento di formazione creativa appropriata alle necessità dello sviluppo — la struttura scolastica tradizionale ha avuto la tendenza ad autoconservarsi e a soffocare le esperienze innovative. La scuola, se anche si è estesa nelle zone rurali, è rimasta per lo più al margine dei progetti di sviluppo. Si è, in sostanza, ripetuta una scelta pericolosa privilegiando ancora le aree urbane, in contrasto con gli stessi intenti programmatici del movimento di liberazione.

L'espansione della scuola primaria — un fenomeno il cui indubbio valore positivo è stato rilevato nei capitoli precedenti — ha tuttavia veicolato tra i giovani, attraverso i suoi curricoli, l'aspirazione a continuare gli studi nelle secondarie o a cercare lavoro nell'amministrazione pubblica, a scapito degli impieghi produttivi nell'agricoltura. Anche i curricoli delle scuole secondarie non tengono ancora in sufficiente conto la problematica dello sviluppo rurale. In tal modo gli investimenti nell'educazione rischiano di contribuire ad accrescere l'esodo dei giovani dalle campagne e di tradursi in un fattore di «controsviluppo». Nel 1984, in un comizio a Maputo, il ministro Chipande così ha espresso la sua preoccupazione per questa situazione:

«Via via che cresce il numero degli alunni che escono dalle nostre scuole aumenta anche il numero degli improduttivi e crescono i problemi sociali nelle nostre città».

Uno dei partecipanti ad un corso per «responsabili della produzione scolastica», realizzato a Manica nel 1982, interpretava così, in base alla sua esperienza, le origini del problema:

«Nel villaggio l'alunno produce con il padre e la madre. Quando entra a scuola aspetta che gli dicano cosa fare; vuoi produrre. Si sveglia alle cinque del mattino, prende la sua zappa e va nell'orto. Ma quando vede che gli insegnanti e la direzione non fanno nulla, anche lui non lavora. Nessuno lo dirige, nessuno lavora. Si trova da solo con altri alunni e si mette a giocare. La volta dopo non ci va più. Racconto questo perché non è vero che gli alunni non vogliono produrre. Io ho visto che dove gli insegnanti lavorano, gli alunni li seguono. L'alunno imita. A casa imita i genitori, e produce. A scuola imita i nuovi genitori, gli insegnanti e la direzione, e non lavora, anzi impara a disprezzare il lavoro. Quando torna a casa disprezza il lavoro dei genitori».1

Per le caratteristiche del curricolo, per la mancanza di nuovi contenuti e metodi di insegnamento e per l'atteggiamento degli insegnanti nei confronti della produzione — dovuto anche al tipo di formazione che ricevono — la cultura del lavoro che il giovane porta con sé dal villaggio non trova generalmente continuità nella scuola e non è valorizzata. Il «parlar bene» e lo «scrivere bene» continuano ad essere il principale criterio di successo, indipendentemente dalle azioni. Così l'autorità dei genitori, un'autorità basata sulla vita e sul lavoro, può essere svuotata dall'autorità delle parole e la scuola corre il rischio di separare il giovane dal suo ambiente e di collocarlo in un universo artificiale che lo aliena dalla comunità e dai progetti di sviluppo. A casa si impara ad essere dei produttori, a scuola si impara a essere dei «consumatori»:

«(l'alunno) consuma quel che c'è fino a finire tutto, [...] non si preoccupa di sostituire [...], aspetta il cibo dal governo [,..]».2

L'analisi del sistema educativo condotta nei capitoli precedenti mostra che la produzione fino al 1983 è restata un'attività poco diffusa nel sistema scolastico mozambicano. L'attività degli studenti ha assunto finalità differenti nelle scuole urbane ed in quelle rurali. Gli studenti delle città hanno svolto «attività manuali» improduttive, nate in risposta ad una direttiva centra le, per concretizzare un principio educativo astratto. A volte si è giustificata questa situazione adducendo che in quel contesto non esisterebbero la necessità economica e le condizioni oggettive per la produzione. La produzione è stata così indentificata con il lavoro agricolo e le scuole cittadine ne sono state escluse. L'attività industriale, l'artigianato, i servizi, non sono stati presi in considerazione. Le «attività delle vacanze» e le «attività di luglio» dell'università sono state, in molti casi, simboliche e improduttive. È mancata una pianificazione del lavoro ed una sensibilizzazione degli studenti. La scarsa organizzazione le ha tramutate a volte in un elemento di disturbo delle aziende o delle comunità in cui erano inserite. Malgrado le dichiarazioni di intenti il «lavoro» è restato appannaggio di alcune scuole situate nelle zone rurali e si è presentato generalmente come una risposta pragmatica ai problemi della sopravvivenza, priva di una intenzionale valenza formativa. La mancanza di una strategia unitaria del ministero dell'Educazione nei confronti delle scuole urbane e rurali ha impedito di motivare gli studenti e le famiglie. Margaret Sinclair ha studiato la problematica dell'intreccio dello studio con il lavoro in alcuni paesi in via di sviluppo e ha messo in guardia sulle resistenze al cambiamento che una politica educativa ambivalente potrebbe provocare:

«Gli impieghi del settore moderno forniscono redditi sicuri, spesso accompagnati da diritto al pensionamento e spesso superiori al reddito di piccoli contadini o operai agricoli. Quando una famiglia contadina decide di consacrare le sue magre entrate agli studi dei figli è naturale che si aspetti di trarre il maggior profitto possibile dal suo investimento. [...] Quindi qualsiasi proposta di introdurre del lavoro che allontani gli alunni dall'aula durante una parte del giorno o della settimana, o che porti gli alunni di certe scuole a consacrare più tempo a queste attività, che non vengono praticate in altri stabilimenti scolastici, entrano in conflitto diretto con l'interesse delle famiglie».3

Anche in Mozambico le resitenze dei giovani e delle loro famiglie potrebbero più facilmente essere superate se l'intreccio dello studio con il lavoro riguardasse tutti gli alunni, sia delle scuole urbane che delle scuole rurali.

Inoltre una nuova strategia educativa basata sull'introduzione del lavoro nella scuola ha maggiori possibilità di successo se coordinata con i programmi di sviluppo rurale. È generalmente riconosciuto, infatti, che in presenza di una scarsa produttività dell'agricoltura e quando i servizi sociali sono rari fuori delle città, i giovani preferiscono un incerto lavoro salariato in città alla certezza di una vita di difficoltà in un ambiente rurale povero. Per permettere quindi agli abitanti delle zone rurali una migliore utilizzazione dell'educazione scolastica, non basta ruralizzare la scuola: è necessario innanzitutto ruralizzare lo sviluppo.4

2) Aumentare l'efficienza interna del sistema educativo

Nell'organigramma del ministero dell'Educazione del 1983 il «settore della produzione scolastica» dipendeva dalla «direzione generale amministrazione e finanze» piuttosto che dalla «direzione generale dell'educazione», lasciando così trasparire la tendenza a considerare la produzione scolastica quasi esclusivamente sotto l'aspetto economico. Questa tendenza si traduceva anche nella mancata articolazione, nell'ambito del ministero dell'Educazione, del settore della produzione scolastica con la direzione generale dell'educazione, responsabile della pianificazione curricolare del sistema educativo. È mancato un coordinamento sistematico anche con il ministero dell'Agricoltura. L'attuale strategia del Mozambico, caratterizzata dalla ricerca dell'efficienza dei sistemi, non potrà non affrontare il problema del progressivo appesantimento del ministero dell'Educazione come struttura con scarso collegamento con la realtà rurale del paese, in cui forma, parole d'ordine e segretezza hanno rischiato a volte di divenire più importanti delle indicazioni emergenti dalla realtà educativa.

L'efficienza del sistema sarà quindi condizionata dalla capacità di formare dei manager dell'educazione dotati di capacità di analisi, progettazione e gestione del sistema educativo in funzione dello sviluppo del paese. Queste nuove figure professionali avranno la responsabilità di interpretare i bisogni di una popolazione che vive in grande maggioranza in ambiente rurale, e tradurli in scelte educative coerenti. L'università, ed in particolare le Scienze dell'educazione, che fino ad allora sono rimaste ai margini dello sviluppo, potrebbero dare un contributo fondamentale alla riforma del sistema scolastico promuovendo quelle capacità di analisi, progettazione e gestione del sistema educativo, attraverso una ricerca applicata sull'integrazione del lavoro nei curricoli e sulla pertinenza di tali curricoli nei confronti delle esigenze regionali e nazionali di sviluppo. Una tale ricerca dovrebbe prendere in considerazione oltre alle finalità, agli obiettivi, ai contenuti e mezzi dell'insegnamento, anche i criteri di valutazione in modo da includervi il lavoro svolto dagli studenti. L'esperienza in Mozambico ed in altri paesi ha mostrato infatti che quando la valutazione verte esclusivamente sulle materie tradizionali, è difficile far partecipare gli alunni alle attività produttive, giacché vengono considerate attività di secondaria importanza. La percezione dei giovani e delle loro famiglie del valore del lavoro produttivo potrà cambiare se cambierà anche l'atteggiamento e la partecipazione degli insegnanti. Sarebbe quindi opportuno che i Corsi di formazione preparassero questi ultimi sia sul piano tecnico che pedagogico a questo compito. Sarebbe utile inoltre predisporre adeguati momenti formativi anche per le autorità locali ai vari livelli in modo da renderli capaci di sostenere le iniziative delle scuole e le attività degli insegnanti connesse con l'introduzione del lavoro nella scuola.

In una situazione caratterizzata dalla penuria di materiali didattici quali gesso, carta o libri, altre difficoltà supplementari sopravvengono quando s'introduce il lavoro nelle scuole. La decisione di generalizzare la produzione richiederebbe che la decisione politica si traducesse in un effettivo investimento nella produzione scolastica e nell'eliminazione degli ostacoli burocratici e finanziari.

b) Un tentativo di formulare il «principio» dell'intreccio dello studio con il lavoro in base alla realtà educativa del Mozambico

Si è generalmente unanimi nel considerare che le linee direttive di un nuovo sistema educativo efficace rispetto ai programmi di sviluppo non possono scaturire da modelli o princìpi precostituiti. Pur rimanendo aperti al confronto con gli altri, le scelte educative di ogni paese dovrebbero emergere dalle specifiche esperienze e esigenze nazionali.

La legge che ha istituito il Sistema nazionale dell'insegnamento nel 1983 indicava a fondamento del sistema educativo del Mozambico, oltre alla realtà nazionale «la Costituzione, il programma del partito, l'esperienza della lotta di liberazione nazionale e quella dei primi anni di indipendenza», i «princìpi universali del marxismo-leninismo» e l'esperienza di altri paesi che hanno costruito un sistema di educazione socialista. Gli stessi documenti affermavano che «tutto il processo educativo si realizza d'accordo con i pricìpi della pedagogia socialista». L'unione studio-lavoro era presentata come uno di questi princìpi ed assume in tal modo un valore universale, quindi astorico.

La storia dell'educazione mostra invece che il concetto di unione dello studio con il lavoro è storicamente determinato e che in diversi modi di produzione questo rapporto non è stato necessario. Esso è divenuto tale quando, oggettivamente, l'organizzazione sociale della produzione ed il suo livello tecnico di sviluppo lo hanno richiesto. Ciò è accaduto nell'epoca moderna in seguito alla rivoluzione industriale. Prima v'era, per alcuni, l'addestramento artigianale, per altri, la formazione esclusivamente teorica. Scuola in greco significava «tempo di non lavoro». Nell'antica Roma la formazione dei cittadini liberi era essenzialmente studio della retorica. Non il saper fare né il saper essere ma il saper parlare era la finalità principale dell'intervento educativo. Otium, non lavoro, era il modus vivendi dei cittadini liberi, in contrapposizione a negotium.

Il lavoro, la cui etimologia in francese di travaii proviene da trepalium, e cioè lo strumento usato per immobilizzare gli animali mentre venivano ferrati, quindi uno strumento di coercizione e di sofferenza, era peculiare degli schiavi prima, dei servi della gleba poi. Questo spiega anche perché nel nostro senso comune l'idea di lavoro è generalmente associata a quella di sacrificio, di rinuncia alla libertà ed alla felicità che è a sua volta identificata con l'ozio. Il disprezzo del lavoro non appartiene solo alla cultura occidentale. Basta ricordare a questo proposito l'esempio delle civiltà nomadi del Nord Africa. Come l'affermazione dell'esistenza di princìpi universali, tipica del socialismo reale, è la negazione della storicità dei fenomeni strutturali e sovrastrutturali, così l'affermazione dell'esistenza di princìpi della pedagogia socialista con carattere aprioristico è la negazione della storicità dei fenomeni educativi e culturali. In entrambi i casi il materialismo storico e dialettico da metodo di analisi e di superamento delle contraddizioni si trasforma in corpus, in leggi e princìpi precostituiti con la pretesa astorica di validità universale e perde quindi la capacità di stimolare la trasformazione.

Il dogmatismo rischia di sostituirsi allora alla ricerca e la teoria calata dall'alto di soffocare le spinte innovative che potrebbero emergere dalla realtà. La sostituzione delle scelte maturate nello scambio tra base e vertice con la decisione burocratica tende ad imporsi come ostacolo allo sviluppo e a divenire lo strumento di resistenza al cambiamento di quei ceti sociali che vi vedono una minaccia per i loro privilegi. Dall'analisi condotta sin qui emerge la necessità di correggere questa tendenza — perché tende ad incasellare la realtà in schemi precostituiti — con un intervento frutto di un'attenta analisi delle possibilità offerte dalla realtà, che tenga conto di tutte le condizioni date e delle forze obiettive in gioco, e incida consapevolmente nelle contraddizioni che la realtà presenta. I princìpi del nuovo sistema andrebbero quindi ricercati, con l'ausilio del metodo dialettico e con un approccio comparativo, nelle diverse esperienze educative, spesso embrionali e frammentarie del Mozambico stesso; negli aspetti contraddittori del sistema educativo coloniale, nell'esperienza del Frelimo nelle zone liberate e nelle realizzazioni delle scuole dopo l'indipendenza; nelle contraddizioni tra i progetti del presente e l'eredità del passato; nella contrapposizione di interessi tra diversi settori della società, tra diverse regioni del paese e tra città e zone rurali. La riunificazione dello studio con il lavoro emergerebbe in questo modo come una necessità oggettiva dello sviluppo. Sarebbe infatti capace di determinare attitudini e conoscenze necessarie alla realizzazione dei programmi di sviluppo e di preparare i giovani a svolgere un'attività creativa socialmente utile, socializzante e responsa bile. Produrrebbe, inoltre, intervento formativo efficace perché capace di saldare la teoria nel suo complesso, come strumento di razionalizzazione della realtà, alla prassi, come strumento di trasformazione. Dall'analisi degli aspetti ricorrenti dei fatti descritti in questa ricerca, si può giungere a formulare delle generalizzazioni o dei princìpi, validi per il sistema educativo mozambicano ed utili per la comparazione con altri sistemi e la loro comprensione.

— Quando l'attività degli studenti è considerata un fine in sé invece che un mezzo per il raggiungimento di un risultato nuovo, come un oggetto, un'idea, dei dati o altro, non si può parlare di lavoro. Lo scavare un buco per poi tornare a riempirlo o il diserbare un campo tanto per fare qualcosa, non sono dei lavori né, tantomeno, delle attività educative. L'attività degli studenti non può infatti essere considerata un lavoro se del lavoro non ha le principali caratteristiche. Se cioè non è un'attività intelligente, creativa, progettuale, volta al raggiungimento di un fine.

— Il lavoro nella scuola è formativo se non è esercizio sterile, attività per l'attività. È formativo quindi se è produttivo, se crea qualcosa di nuovo.

— Il lavoro educa se sviluppa la capacità di produrre beni o servizi apprezzabili sul piano sociale, se, in altre parole, è socialmente utile, è inserito nel ciclo sociale della produzione, non si limita alle finalità didattiche della scuola e si presenta come un metodo per accrescere la produzione sociale.

— Il carattere formativo del lavoro risiede anche nella sua dimenzione socializzante e cooperativa. L'individuo infatti si realizza nell'interazione con la comunità. Le comunità rurali mozambicane, come le comunità tradizionali africane in genere, sono state caratterizzate da una stretta correlazione tra individuo e gruppo. L'individuo sviluppava la propria indipendenza insieme alla coscienza che le sue aspirazioni potevano essere realizzate solo attraverso sforzi comuni. L'Occidente ha portato, insieme alla colonizzazione, all'espropriazione dei contadini, alla divisione delle terre e alla disgregazione del tessuto sociale tradizionale, anche l'idea che il progresso può avvenire con un cambiamento del regime fondiario da collettivo a individuale. Così la divisione delle terre coltivate ed il loro sfruttamento eccessivo hanno portato al depauperamento dei suoli causando l'inizio di quel circolo vizioso della miseria che caratterizza oggi molte regioni africane. Queste trasformazioni socioeconomiche sono state accompagnate, sul piano culturale, dall'introduzione del modello scolastico europeo. L'individualismo si è affermato sulla tradizione di cooperazione che aveva caratterizzato le comunità tradizionali. La solidarietà ha ceduto il posto alla competizione ed alla aggressività.

Nel cammino per lo sviluppo scelto dal Mozambico il lavoro di gruppo nella scuola può preparare i giovani alla cooperazione e alla socialità e preparare dei produttori che sappiano mediare gli interessi individuali con quelli comuni.

— Il lavoro che abbia come movente la costrizione o la minaccia non è educativo. Lo studente si sente motivato se nella sua attività può esprimere creatività, vivificare e ampliare i suoi rapporti sociali, soddisfare i suoi bisogni e quelli della sua comunità e beneficiare dello sforzo del suo lavoro. Il lavoro è formativo quindi se responsabile, volontario e automotivante.

— Il valore educativo del lavoro scaturisce dall'interazione dei suoi diversi attributi. Se si insiste unicamente sulla sua utilità sociale, la sua produttività, il suo valore economico, si corre il rischio di sacrificare l'uomo alla produzione. Quando la finalità è solamente l'aumento della produzione scolastica il lavoro degli studenti si riduce appena a un mezzo per il raggiungimento di questo scopo. Il perché è il per chi si produce e la valenza formativa del lavoro passano in secondo piano rispetto alla necessità economica. Questa tendenza che insiste sull'aspetto produttivo del lavoro a scapito di ogni altro può essere definita economicistica. Il lavoro nella scuola non va quindi considerato come un fine in sé ma come un metodo educativo. D'altra parte l'intreccio dello studio e del lavoro non può essere finalizzato esclusivamente al processo di apprendimento. Persegue infatti il più ampio obiettivo di ricomporre l'interezza dell'uomo compromessa dalla divisione della società e del lavoro.

— Il lavoro formativo si presenta come un insieme di teoria e pratica, progettazione ed esecuzione. A seconda della maturità degli studenti, e quindi anche dei diversi livelli del sistema scolastico, l'accento potrà essere posto maggiormente sull'uno o sull'altro aspetto e la pratica potrà essere più o meno identificata con la manualità.

Non son quindi «lavori» solo ed esclusivamente le attività manuali né tutte le attività manuali possono essere considerate dei «lavori». Ad esempio, l'attività di alfabetizzazione degli adulti svolta da studenti di una scuola secondaria è un lavoro, ed è anche formativo, perché è un'attività creativa, socialmente utile e responsabile. Invece il laboratorio scolastico o le attività manuali con la creta, la carta o il legno non possono essere considerate dei «lavori» perché, anche se attivano le capacità creatrici degli studenti e possono avere una dimensione socializzante nell'ambito ristretto della classe, non hanno tuttavia un'utilità sociale e sono fine a se stesse. La loro connotazione è strettamente didattica e non raggiunge un più ampio obiettivo formativo. Se insistere unicamente sulla finalità produttiva e sull'utilità sociale del lavoro è un atteggiamento riduttivo che può degenerare in «economicismo», altrettanto riduttivo è il considerare che attività manuali fine a se stesse possano avere un valore formativo indipendentemente dalla loro posizione rispetto al processo di produzione sociale. Sia quest'ultimo atteggiamen to, che possiamo definire pedagogicismo, sia l'economicismo non conducono alla formazione di uomini completi.

Lo sviluppo è un processo complesso e richiede che il sistema educativo risponda alle sue necessità in termini culturali, sociali, politici ed economici. Alla scuola è chiesto di educare delle persone che sappiano intervenire sulla realtà per modificarla in base alle necessità del paese. Questo ruolo, che assume un carattere di urgenza nei paesi in via di sviluppo, scaturisce da un intervento formativo che unifica lo studio con il lavoro e quindi la dimensione scientifico-tecnica, quella culturale e sociale e quella economica nella formazione di ciascun individuo, come premessa dello sviluppo delle forze produttive e della trasformazione delle relazioni sociali di produzione. A un sistema che presenti queste caratteristiche si addice l'attributo di efficace e «coerente», perché capace di produrre un massirtio di risultati con un minimo di sforzi e di spese.

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