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Salvare vite, ricostruire i mezzi di sussistenza
Congo orientale: aiutare i più vulnerabili dà i suoi frutti
Rutshuru, 30 ottobre 2006 - “Era malata”, dice Nirabuhuru accarezzando Rachel, la figlia di due anni e mezzo che le siede in grembo. “Malata perché non aveva abbastanza da mangiare”, aggiunge.
Per questo Nirabuhuru, 35 anni, madre di dieci figli, ha portato Rachel al Matumaïni, un centro nutrizionale di Rutshuru, nel Kivu Settentrionale, una provincia della parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, a 40 chilometri di distanza dalla loro casa a Tongo. “È perché siamo poveri”, dice a proposito della denutrizione della bambina. “E siamo poveri per via della guerra”. La storia di Nirabuhuru è tanto semplice quanto drammatica: da anni, lei e la sua famiglia non si sono sentiti al sicuro a dormire nella propria casa, e così hanno preferito dormire all’aperto, nella foresta. “Come puoi pretendere che i propri figli non si ammalino?” chiede. Purtroppo, il dramma di Nirabuhuru è fin troppo comune nel Kivu settentrionale, afferma Jacqueline, che lavora al centro Matumaïni, mentre prepara il pranzo per i bambini che vi si trovano in cura. Sebbene la Repubblica Democratica del Congo abbia avviato nel 2003 un processo di ricostruzione e di pace, i lunghi anni di guerra civile hanno lasciato segni profondi nel paese. L’insicurezza prevale ancora, in particolare nelle parti orientali del paese. Nel 2005 è stato calcolato che nel Kivu settentrionale ci fossero quasi 600.000 profughi, su una popolazione totale di 4,2 milioni di persone. L’effetto sulla popolazione rurale è stato drammatico. La produzione agricola è crollata. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2005, da quando la guerra è scoppiata, nel 1996, la produzione delle due colture principali, cassava e banane, si è dimezzata. La malnutrizione è una delle dolorose conseguenze di tutto questo. Rimettere in piedi l’economia rurale Per quanto riguarda il fabbisogno alimentare, difficilmente il paradosso della Repubblica Democratica del Congo potrebbe essere più evidente: un paese con il potenziale di nutrire l’Africa intera è ancora tra quelli con la più scarsa sicurezza alimentare del mondo. Secondo lo Stato dell’Insicurezza Alimentare nel Mondo 2006 della FAO il 72 per cento della popolazione non ha cibo a sufficienza. Il centro Matumaïni, che ospita in media un centinaio di bambini, è uno dei 60 centri delle province del Kivu settentrionale e meridionale dove la FAO, con le altre agenzie delle Nazioni Unite e con le organizzazioni non governative, contribuisce a migliorare la situazione nutrizionale dei più piccoli. Il pranzo include una porzione di verdure - cavolo cappuccio, patate, cipolle, porri - coltivati nell’orto del centro con le sementi fornite dalla FAO. Questo aiuto fa parte di un progetto regionale avviato dalla FAO con il sostegno finanziario dell’Unione Europea, il donatore principale dell’Organizzazione nella Repubblica Democratica del Congo, per portare assistenza a 95.000 famiglie rurali tra le più vulnerabili delle province del Kivu . Nel 2005, il primo anno del progetto, la FAO grazie a centri nutrizionali come il Matumaïni, ha raggiunto più di 25.000 famiglie. Ma l’Organizzazione non offre solo aiuto d’emergenza per migliorare la sicurezza alimentare dei più vulnerabili. In linea con la strategia generale che essa adotta nel paese, la FAO aiuta le famiglie rurali a ricominciare daccapo, fornendo loro gli arnesi per ripristinare i loro mezzi di sussistenza. Qualche buone notizie dopo anni di conflitto Cominciano ad apparire i primi segni di speranza. Poco distante da Rutshuru vi è la palude di Kitarama, dove tre anni fa cresceva solo il papiro e la terra non era utilizzata. Nel 2003, un gruppo di profughi e di persone che avevano appena fatto ritorno ha iniziato a risanarne cinque ettari. La FAO ha fornito attrezzi e sementi. “Dopo la guerra, non non avevano più niente”, dice Jules Mushanjili, un agronomo del Ministero dell’Agricoltura del Kivu settentrionale, che ha seguito l’opera di bonifica. “Questi attrezzi li hanno aiutati a ricominciare”. Attraverso il Ministero, la FAO ha anche distribuito sementi. Oggi, a Kitarama vengono coltivati fagioli, mais, riso, cavolo cappuccio e porri. C’è persino uno stagno/vivaio per la pesca. “Ora riescono a procurarsi da vivere”, dichiara il signor Mushanjili. Nell’ambito del programma FAO finanziato dall’Unione Europea, sono stati finora recuperati oltre 125 ettari di palude. A beneficiarne sono state circa 5.000 famiglie, più di 30.000 persone. “Adesso abbiamo abbastanza da mangiare”, dice Kavira, una delle persone raggiunte dal progetto. “Inoltre, con il surplus che produciamo, possiamo pagare le tasse scolastiche e le spese sanitarie per i nostri figli. E per di più, alla fine del mese ognuno di noi mette da parte fino a 3.000 franchi congolesi (6 dollari)”. Anche al centro nutrizionale Matumaïni oggi si comincia a sperare. Mentre Nirabuhuru dà da mangiare alla figlia, Jacqueline, spiega che in due settimane, Rachel ha quasi ripreso un peso sufficiente per essere dimessa. Jacqueline indica un altro bambino che mangia in braccio a sua madre. “Quando è arrivato, più di un mese fa, era in cattive condizioni”. Ma oggi il bambino è fuori pericolo e può tornare a casa. Jacqueline sorride: “La maggior parte di essi guariscono”. |
Dopo molte settimane di assistenza presso il centro nutrizionale di Matumaïni, Hakorimana può tornare a casa.
Jacqueline prepara i pasti per circa 100 bambini sottonutriti ospitati presso il centro Matumaïni. invia quest’articolo
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